Studi e Fonti Documentarie della Società Genealogica Italiana

 

Il feudo di Abatemarco e il casale di Mercurio in Calabria Citra

 di Giovanni Celico

 

Posti, rispettivamente, l’uno strategicamente a difesa e l’altro naturalmente a guardia, il primo sulla sponda destra e il secondo sulla sinistra di un corso d’acqua, il castello di Abatemarco e il casale di Mercurio, ora ne restano i ruderi, poi ricompresi in Calabria Citra e oggi in provincia di Cosenza, narrano una affascinante e quasi unitaria epopea, strettamente correlata a quella del Lao, il grande fiume, un tempo, incerto, confine della Lucania meridionale.
La cronaca di questi due feudi merita, con riguardo all’insediamento umano, ai passaggi di possesso e ai riflessi produttivi, di essere meglio investigata e, per quanto possibile, precisata, in relazione, tra l’altro, anche ad un prezioso e quasi dimenticato “apprezzo” del 1661.
Il castello di Abatemarco, Abbatemarco o Batomarco, posto sopra una roccia sovrastante la sponda destra del fiume omonimo, sorse, forse, sulle rovine di Bato, un antichissimo nucleo di fondazione aborigena e di probabile abitazione enotra, secondo alcune ma non riscontrabili ipotesi, e potrebbe aver derivato il nome o dal luogo, con in più quello del personaggio che aveva avviate ed accresciute le costruzioni nel borgo, o con la posteriore aggiunta di quello del titolare della Abbazia di S. Giacinto, di jus patronato della famiglia Deodata de Mari.
Fu, comunque e sicuramente, un centro militare, che comprendeva anche le contrade Marcellino, Testelli e Marmi.
Il casale di o del Mercurio occupava invece, quasi alla confluenza dell’Argentino, “una terrazza a dominio del corso meridionale del fiume Lao”, sulla sinistra, e “guardava” una pianura che si estendeva fino al Tirreno: vi si coltivò la canna da zucchero, poi la vite “doraca”, da cui maturava lo “zibibbo”, un tempo ricercatissimo, e il cedro, tuttora presente, specie sulle tavole israelite.
Le prime, frammentarie notizie riferite, genericamente, al Mercurio, ove, intorno al Mille, era fiorita la grande spiritualità basiliana, situato, sicuramente, in alcuni periodi, anche nei confini del feudo di Abatemarco, si leggono in una “Vita di S. Saba”, dove si diceva che il santo “nel mentre ritrovavasi nel primiero Monastero di S. Michel’Arcangelo, discacciò dal territorio del Mercurio le locuste che l’infestavano”.
Lo stesso Santo “nel ritorno da Laino a quel di Lagonegro” avrebbe guarito “un figliuolo ch’avea il corpo attratto, e un altro figliuolo del Castel del Mercurio…”.
Storicamente e sicuramente, il Castro Mercurio fu ceduto, nel 1086, da Ugo di Avena alla Badia di Cava mentre un’altra notizia indiretta, di cronaca, su quel territorio, è fornita dalla circostanza che, nel luglio del 1100, Ruggero Borsa, figlio di Roberto il Guiscardo, avendo i genitori acquistato da Lorenzo, vescovo di Malvito, il terreno ove era sorto l’edificio di S. Maria della Matina, da loro offerto alla Chiesa di Roma, confermava al monastero, di cui era abate Tommaso, tutti i possessi e i diritti, concedendo, tra l’altro, i casali di S. Maria della Matina, S. Venera e Turboli, la popolazione rurale del casale Pratum, e, tra le chiese, l’“ecclesiam Sancti Petri et ecclesiam Sancti Nicolai et ecclesiam Sancti Iohannis in territorio quod dicitur Mercurii”, con i diritti pertinenti.
Nel maggio di quattro anni dopo, precisamente nel 1114, il figlio di Ruggero, Guglielmo, ad istanza dello stesso abate Tommaso, confermò, al monastero di S. Maria della Matina, tutti i possessi, le immunità e i diritti, contenuti nel diploma del padre, tra cui, appunto, le chiese di S. Pietro, S. Nicola e S. Giovanni “in territorio quod dicitur Mercurii”.
In una controversia, scoppiata a luglio del 1152, decisione assunta a Scalea, tra l’abate e il convento di S. Maria della Matina, attori, rappresentati da Leto priore, comparve, come convenuto, Nicola del prete Pietro da Mercurio.
Nel 1268, “Roberto di Loria figlio di Giacomo, cugino di Roggiero Gran Ammirante fù Sig.re di Castelluccia in Basilicata, Abbatemarco, ed altre terre in Calabria à tempo del mentovato Carlo I d’Angiò”.
Tra il 1269 ed il 1270 “i nuclei di Mercurio e di Abatemarco erano sotto la signoria dei Vulcano”, prima di Martino Vulcano, direttamente investito “del borghetto Mercuri”, e, dopo di lui, dell’erede Bertuccio, e, nel 1275, “Aba Marcus” apparteneva al giustizierato di Val di Crati.
La fortezza di o del Mercurio, nel 1276, risultava tributaria del fisco angioino e ancora, nel 1278, era sottoposta a quella signoria, quando passò sotto il possesso di Terisio de Gant (o Gaut).
Dal 1305, almeno, con Ruggiero de Loria, Abatemarco era nelle mani di quella grande famiglia e, in successione, nel 1306, di Ruggerone, figlio del precedente, e, poi, di Giacomo de Loria che ebbe i castelli di Mercurio e Abbate Marco, seguito, nel 1308, dai fratelli Carlo e Berengario.
Due anni dopo, nel 1310, Abbate Marco era di Ascanio (Amico) de Nomicis, ritornando, nel 1313, in mano a Bartolomeo de Loria, tutore dei figli di Ruggerone, che, proprio in quell’anno, nominò Leonardo Battarella di Scalea castellano di Abate Marco, e poi di Berengario de Loria che risultava, da solo, nello stesso 1313, signore dei castelli di Mercurio e Abate Marco e, poco dopo, concedeva, nuovamente, in feudo il “castro Mercurio” ad Amico de Nomicis.
Il 21.ottobre.1318, gli “homines de Castro Ursimarso invadono le terre che Amico de Nomicisio dominus castri Mercuri” aveva ottenuto in feudo.
Nel 1324, “in castro Mercurii”, veniva riscossa la decima, versata da “dompno Roberto et dompno Guillelmo”, somma esigua, due tarì: segno che la depressione gravava sulla Regione Mercuriense, mentre, l’anno dopo, Carlo duca di Calabria, vicario generale del re Roberto, si impossessò del feudo, già tenuto, per l’appunto, dai Loria.
Nel 1326, “omnes clerici Mercurii” versavano una decima di “tarenos sex” e, nel 1327, “in abbate Marco pbr. Guillelmus, cappellanus mercurii, tar. Duos et gr. Septem”.
Circa venti anni più tardi, Tommaso Sanseverino aveva in possesso la terra di Abatemarco, e la stessa, il 21.10.1406, fu trasferita a Bernardo de Oferio, regio ciambellano.
Nel 1414 il feudo di Abatemarco, acquistato dalla Regia Corte, fu ceduto ad Arcusio, Artusio o Arturo Pappacoda di Napoli, unitamente ai feudi di Papasidero e Barbicario (Verbicaro).
Sarebbe stato questo feudatario a donare alla chiesa di S. Michele dell’Abazia di Abatemarco due statue lignee, scolpite nell’ogliastro (ulivo selvatico), fatte venire da Napoli: S. Michele Arcangelo, attualmente nella chiesa parrocchiale di S. Maria del Cedro, e la Madonna delle Grazie, ora nella chiesa omonima di Verbicaro.
Ad Abatemarco, nel secolo XV, c’era la parrocchia di S. Michele Arcangelo, ricordata anche in una Platea del 1510.
“L’ultima menzione dell’abitato di Mercurio” appare “al 21.settembre.1439, quando viene elencato tra le terre ed i castelli compresi nella contea di Lauria che Alfonso d’Aragona confermò a Francesco Sanseverino”.
Nel 1450 Tommaso de Loria risultava barone di Aieta, Tortora e Abatemarco, seguito dal figlio Gerolamo, a sua volta pure barone di Tortora, Aieta e Abatemarco nel 1489 e marito di Margherita Pascale, mentre la sorella Ecuba aveva sposato Francesco D’Alitto.
Abatemarco, con territorio relativo, ritornò al Demanio nel 1465, e, nel 1471, Barnaba Sanseverino presentò relevio per le terre di Lauria, Castelluccio, Tridina (Trecchina), Laino, Ursomarsico, Mercurio di S. Nicola.
Il “casale di Mercurio”, non se ne conosce la consistenza insediativa e il periodo preciso, era stato, comunque in quegli stessi anni, anche in possesso di Venceslao Sanseverino, figlio di Gaspare e fratello di Francesco junior duca di Scalea.
Il 4.gennaio.1474, l’arcivescovo di Rossano, l’abate del monastero di S. Filippo di Lauria e il vicario del vescovo della diocesi di Cassano, decidono che Giovanni Tuscano, o Toscano, clerico rossanense, assuma la commenda del monastero di S. Giovanni “extra muros castri Abbatismarci”, vacante per la morte dell’abate Stefano.
Il 19.febbraio.1474, Teodoro Gaza, il grande umanista greco, essendo stato nominato, dal cardinale Bessarione, procuratore del cenobio di S. Giovanni Battista in S. Giovanni a Piro, visitò i territori dipendenti da quella abbazia e giunse anche in Calabria, dove resse, per un anno, il Monastero Benedettino di S. Giovanni di Abatemarco, resosi vacante per la citata morte dell’abate Stefano.
L’investitura di questo cenobio, la cui rendita ammontava a 70 fiorini d’oro, fu concessa il 19 dello stesso mese, sotto il pontificato di Sisto IV.
Il 2.10.1488, il re Ferdinando I ordinò a tutti gli ufficiali del Regno di rispettare la facoltà concessa a Guglielmo Sanseverino, conte di Capaccio, di poter deviare un corso d’acqua dal fiume Ursomarzo e Mercuri in Calabria, fino alla terra di Scalea per poter ivi far funzionare un “molino”.
Nel 1489 risultava signore di Abatemarco Francesco D’Allitto e, poi, il figlio Giusto o Giustiniano e, in successione, nel 1496, i feudi di Abatemarco, Tortora e Aieta furono concessi dal re Ferrante II di Aragona a Giovanni de Montibus o Delli Monti, prode ed onorato soldato, avendoli tolti al dominio di Gerolamo di Lauria e di Giusto D’Alitto, baroni compartecipi alla congiura ordita contro la dinastia, vinti combattendo sulle alture di Laino-Scalea e fatti prigionieri il 18.maggio.1496.
A Giovanni successe, nel 1504, Margherita de Montibus, figlia ed erede e moglie di Marcello Colonna.
Nel 1509 Bertotoldo Carafa acquistò Abatemarco, Aieta e Cirella da Margherita de Montibus e, nello stesso anno, ne rientrò in possesso il genero, Francesco de Loria.
Abatemarco divenne feudo della casa Brancaccio e più precisamente di Scipione, figlio di Giovan Tommaso signore anche di Grisolia, tra il 1511 ed il 1518, ma nel 1522 Francesco de Loria ne risultava ancora signore.
Il feudo di Abatemarco fu in testa, fino al 1525, a Geronimo Pellegrino, anche se, nello stesso periodo, “riappare” in mano a Francesco de Loyra.
Nel 1528-1534, Abatemarco fu in possesso di Giulio di Capua che, nel 1542, lo vendette a Raffaele De Mari, cui subentrò, nello stesso anno e fino al 1549, Nicolas de Loquingen che ebbe anche Ajeta, Tortora e Cirella.
Nel 1548-1549, passò per vendita a Pietrantonio Sanseverino, principe di Bisignano: nel 1532-1545 la terra di Abatemarco numerava 114 anime.
Il principe Pietrantonio Sanseverino ed Isabella Caracciolo, duchessa di Castrovillari, marchesina di Misuraca e signora della terra di Scalea, in quegli anni, composero un dissidio sorto tra i rispettivi vassalli di Abatemarco, Grisolia e Scalea.
“In una bolla di Paolo IV del 13 giugno 1555 si trova la seguente notizia”: “Flaminio de Sabellis providitur de parochiali ecclesia S. Joannis de Cucucijs, oppidi Abbatis Marci, Cassanen dioc., de jure patronatus Angeli Anelli de Donato. Non saprei specificare se si tratti di una variazione di nome o di una Parrocchia differente. Nel 1669 gli abitanti di Abatemarco si trasferirono a Cipollina già frazione di Grisolia ed ora comune a sé col nome di S. Maria, con propria parrocchia dedicata allo Spirito Santo. Cipollina ha dato origine alla frazione Marcellina, presso lo scalo ferroviario, che è stata dotata di propria parrocchia dedicata al S. Cuore, con decreto del 15 agosto 1957”.
Nel 1561 Abatemaco era scesa da 28 a soli 7 fuochi: c’era un erario, un Camerlengo ed un Conservatore, che avevano il compito di tutelare gli interessi della casa Sanseverino di Bisignano.
A Pietrantonio Sanseverino, morto a Parigi il 5.aprile.1559, successe, nel dominio dei feudi di Abatemarco e di Grisolia, il figlio Nicola, o Nicolò, Berardino, sotto la tutela della madre Irene Castriota, morta il 15.settembre.1565: la terra di Abatemarco contava 192 anime, ridottesi a 36 nel 1595.
Francesco Galluppi di Tropea subentrò nel possesso nel 1612 e nel 1623 Giampietro Greco comprò, dalla casa Sanseverino di Bisignano, Abatemarco e Orsomarso.
Giovan Battista Greco, figlio di Giampietro, ereditò, 1639-1640, i feudi di Abatemarco, Cipollina e Orsomarso, la cui storia successiva restò, fatalmente, intrecciata ed unificata.
 

Giovanni Celico

 

 

 Torna alla sezione "Studu e Fonti Documentarie della Società Genealogica Italiana"