de LUPIS o Lupi di Soragna

 

Marchesi di Soragna

 

 

 

 

Guido I de Lupis (Wido,Widone), + Cremona o Soragna-ottobre/dicembre 1213, Marchese e castellano di Soragna, Podestà di Parma nel 1198, Podestà di Brescia nel 1208.
Secondo gli sttudi storici più recenti la madre era una Cavalcabò, sorella di Aiguina e Guido,  figli di Sopramonte Cavalcabò, signore di Zibello e Viadana (cfr.: C. Soliani, Nelle Terre dei Pallavicino, Parma, 1989, tav. gen.), dalla quale originirebbe la discendenza Obertenga attribuita appunto ai Lupi, da ritenersi quindi per ascendenza femminile  non maschile. Viene ricordato per la prima volta in un atto di permuta intercorso nel 1198 (2 aprile) con il vescovo di Parma Obizzo, mediante il quale il Lupis fece cessione della metà di quanto possedeva in Soragna e in Diolo in cambio della proprietà della Terra di Mainone, che già teneva a titolo di feudo dalla Mensa Vescovile: D. nus Opizo Dei Gratia Ep. us Parmae concessit et dedit D. no Guidoni Lupo Marchioni ad petitionem ipsius Guidonis. Nel 1202 venne eletto Podestà di Parma e con tale carica figura citato in numerosi atti del tempo (In MCCII D. Guido Lupus Marchio de Parma fuit Potestas Parmae) e così in una sentenza a favore dei canonici di Parma contro tale Gerardo, pronunciata dal giudice Ugone che agisce in qualità di advocatus tempore regiminis D. ni Guidonis Lupis Marchionis Potestatis Parmae, come in altri successivi giudicati. L’anno di questo mandato fu caratterizzato da qualificanti azioni pacificatrici che proprio al Lupis fecero capo: il 10 giugno, infatti, assecondando il desiderio di papa Innocenzo III che voleva pace in Lombardia per vederla partecipe della Crociata che stava approntando, il Lupis riuscì ad appianare in Alseno il conflitto esistente tra Parma, Piacenza e Milano per il possesso di Borgo San Donnino e Bargone (per la quale tregua questi centri rimasero ai Parmigiani), dandosi poi (31 luglio) a comporre con successo, insieme al cremonese Corrado di Somma, le vertenze in materia di confini che esistevano tra Reggiani e Modenesi. Successivamente, stretta alleanza con questi ultimi, riuscì per loro tramite a contrarla anche con Mantova. Dopo essere stato Podestà di Reggio (1206), lo fu di Brescia nel 1207. Finito l’anno della sua carica rimase in città come Podestà dei nobili e dei cavalieri, ma da essa si allontanò l’anno dopo in seguito alla scissione avvenuta tra questa fazione e quella del popolo guidata da Opizone Pusterla (maggio 1208). Rifugiatosi allora a Cremona, di lì a poco, con l’aiuto di armi cremonesi e parmigiane, riprese Pontevico (settembre 1208) e sembra rientrasse anche a Brescia, ove nel 1209, secondo una Cronaca bresciana, figura di nuovo podestà dei militi e citato appunto come Guido Lupus Marchio de Cremona Potestas Militum Brixiae. Nel 1212 trattò per Azzolino d’Este la cessione di Argenta e l’anno seguente figura Podestà di Castelleone nel Reggiano. In quel tempo il Lupis possedette diversi beni in Cremona, Rivarolo di Bozzolo e Casalmaggiore, ed ebbe affari con il nobile cremonese Ponzio Amati, i cui diritti (omnia jura et actiones et directas reales et personales quae et quas habebat) questo cedette ad altri alla morte del Lupis. Tale suo frequente ritrovarlo a Cremona, lascia ai più il supporre che proprio da tale città derivasse la sua origine e che la madre stessa, vuoi anche per certi nomi ripetuti nei discendenti più immediati, fosse appunto una cremonese dei Cavalcabò. Il Lupis ebbe in moglie una Rossi, che secondo l’Affò sarebbe stata una sorella di Bernardo di Rolando, mentre per il Litta una prozia. Abitò con la famiglia in Parma, a cò di Ponte, e Frà Salimbene non manca di annotare tanto il nome di alcuni dei suoi figli che conobbe di persona, quanto la rivalità che esisteva tra essi e i marchesi Pelavicini, entrambi abitanti "in villa quae appellatur Soragna quae est in episcopatu parmensi prope Burgum Sancti Donini per milliaria 5 versus aquilonarem partem; et ob hanc causam inter eos emulatio non modica habebatur."
FONTI E BIBL. :P. Litta, Famiglie celebri, XI, 1870, tav. I; Argegni, Condottieri, 1937, 248; V. Spreti, Enciclopedia storico nobiliare, 4, 1931, 541; B. Colombi, Soragna. Feudo e Comune, 1986, I, 305-306.

= una sorella di Bernardo di Rolando Rossi di Parma (vedi/see)

 

A1. Guido II (* bef 1244 + post 1275), Marchese di Soragna. È ricordato una prima volta nell’anno 1244. Nel 1275, probabilmente in età già molto avanzata, fu podestà di Jesi.
FONTI E BIBL. :P. Litta, Famiglie celebri, XI, 1870, tav. I. I suoi discendenti gestivano in comune con i cugini il castello di Soragna.

= Margherita Fieschi, una nipote del Papa Innocenzo IV

 

B1. Ugolino o Ugone, Marchese di Soragna.

= ………….

 

C1. Bonifacio (* Soragna ca. 1256 + ante 1327), Marchese di Soragna, Podestà di Pistoia nel 1294, Podestà di Milano nel 1302,

Vicario Imperiale a Parma nel 1311.

Eletto Podestà di Reggio nel 1286, il Lupis si trovò a dover sedare le numerose discordie e i frequenti tumulti che travagliavano la città. Non essendovi riuscite le varie ambasciate inviate dai parmigiani, vi si applicò con decisione, condannando a morte i più facinorosi e i delinquenti. Ne fu pretesto anche l’uccisione di Guido e Bonifacio da Bibbianello a opera dei sicari dei Canossa, per la qual cosa il Lupis fece arrestare e torturare Guido da Albareto. Ma, aggiunge il Salimbene, detti tormenti furono sì miti che l’imputato, lasciato libero perché prosciolto dalle accuse, si diede subito a far festa con i suoi parenti, alimentando così il diffondersi delle voci che davano il Lupis corrotto per denaro (cui obediunt omnia) e le torture inflitte tutta una messa in scena. Otto anni dopo, nel 1294, il Lupis venne fatto Podestà di Pistoia. Nel luglio di quell’anno la città fu devastata da un terremoto che fece numerosi danni alle cose e alle persone e tanto benemerita fu l’opera del Lupis che venne riconfermato nella carica anche per l’anno successivo. La sua fortuna crebbe ancora nel 1302 quando, dopo la disfatta di Matteo Visconti avvenuta nel Lodigiano a opera delle truppe del Marchese di Monferrato, dei Cremonesi, dei Piacentini guidati da Alberto Scotti e dei loro alleati, i principi Dalla Torre furono rimessi in possesso di Milano: per i meriti acquisiti a loro favore, il Lupis venne da questi nominato Podestà della città. Nel 1305 per breve tempo fu alleato di Giberto da Correggio che aveva permesso il ritorno dei Lupis a Parma. Poco tempo dopo però si alleò coi Rossi per cacciare il Correggio dalla città ma il tentativo fallì e i Lupis furono nuovamente costretti all’esilio. Il 22 dicembre 1305 si rifugiò col fratello Rolandino in Soragna. Ma il Correggio, attaccato il castello di Soragna, scacciò definitivamente il Lupis a Reggio, accolto dagli Estensi. Solo nel gennaio del 1311, una volta allontanato da Parma il Correggio dai fuoriusciti di Brescia e di Cremona, il Lupis poté rientrare in città grazie all’imperatore Arrigo di Lussemburgo. Ma il 25 febbraio dello stesso anno i Lupis vennero nuovamente cacciati da Parma e dal Castello di Soragna dal popolo di Parma. Fu infine nel 1318 a Castellina di Soragna per occupare la rocca che teneva Manfredino Pallavicino, il quale si rivolse poi al podestà di Parma, Contino dei Grassi, per riavere quanto a lui ingiustamente tolto. Il Lupis sposò il 22 novembre 1282 Margherita di Enrico Pallavicino di Varano e da questo matrimonio nacquero Ugolotto, Corrado (canonico nella cattedrale di Borgo San Donnino e nel 1329 prevosto di Santa Maria in Castellina), Agnesina, Franceschina, Beatrice e Bernardino, quest’ultimo naturale.
FONTI E BIBL. :P. Litta, Famiglie celebri, XI, 1870, tav. II; V. Spreti, Enciclopedia storico nobiliare, 4, 1931, 541; B. Colombi, Soragna, Feudo e comune, 1986, I, 309-310.
= 22-11-1288 Margherita Pallavicino di Marano, figlia di Enrico Marchese di Scipione e di Silveria degli Amorosi

(vedi/see)

 

D1. Ugolotto (Soragna 1283 + Parma 4-2-1351), Marchese di Soragna (investito con mero e misto impero assieme ai cugini il 21-9-1347), Vicario Imperiale di Cremona il 5-7-1333. Alla pari di tanti della sua famiglia è ricordato come un guerriero dedito alle armi: l’Angeli lo definisce anche capitano molto valoroso. Da papa Giovanni XXII ebbe nel 1327 (25novembre) l’investitura dei beni e feudi già posseduti da Manfredino Pallavicino, dopo che questo, per aver seguito la fazione di Galeazzo Visconti, era stato condannato per eresia. Fedele a Giovanni, conte di Lussemburgo e re di Boemia, fu nel 1331 prima a Brescia e poi a Cremona (insieme a Pietro Rossi e alle milizie del podestà di Parma, Ponzone dei Ponzoni) per sedarvi la rivolta dei Cavalcabò favorevoli a Ludovico il Bavaro: fatti anche diversi prigionieri, li condusse a Carlo, figlio di re Giovanni, al quale fu restituito il dominio della città. Il Lupis rimase quindi a Cremona nelle vesti di Vicario dell’Impero, citato in tale importante carica da un diploma di re Giovanni del 5 luglio 1333, nonché in una procura dello stesso Sovrano per trattare una tregua con Azzone Visconti e i soui alleati. Nel 1343 fu tra gli aderenti di Obizzo d’Este, marchese di Ferrara, che rivendicava a Luchino Visconti la città di Parma vantandone un suo acquisto da Azzo da Correggio. Quando però il Visconti ebbe la meglio e, dominando Parma, annientò il potere dei nobili, il Lupis si rivolse a Carlo IV per ottenere l’investitura delle terre di Soragna e Castione e il conseguente appoggio imperiale per farsele restituire: il che conseguì con diploma del 20 settembre 1347 insieme al cugino Raimondino Lupis. Forte di un salvacondotto avuto nel 1350 dall’arcivescovo Giovanni Visconti, si ritirò a Casalmaggiore in cui possedeva diversi beni e dove, secondo il Calandrini, morì. Sepolto dapprima nella locale chiesa dei Frati Minori, il suo corpo sarebbe più tardi stato trasportato a Parma nella chiesa di San Francesco del Prato, non appena pronto il suo sepolcro marmoreo. In questo monumento, che rimase in tale chiesa fino al 1805 per essere poi trasportato inizialmente nell’Accademia di Belle Arti e infine (1821) nell’oratorio di Santa Croce in Soragna, scomposto rispetto all’ordine primitivo, si ha l’effige dello stesso Lupis, giacente nella sua armatura con la spada al fianco. L’epitaffio reca gli elogi del Lupis, del quale si evidenziano le doti di giustizia, di cultore dell’amicizia e di strenuo combattente: Hic recubat tumulo miles pietatis amator marchio magnanimus vir constans sanguinis alti iusticie cultor fervens protector amici egregia natus hugolotus stirpe luporum strenuus hic armis securus turbine belli reddidit audaces furienti marte catervas quinquaginta simul primo sub mille trecentis luce febri quarta tulit hunc nimis invida parca. Il Lupis sposò Legarda di Guglielmo dei Rossi e di Donella di Pietro da Carrara ed ebbe come figli Bonifacio, Giovanni (dottore in telogia, canonico di Padova e prevosto di Santa Maria di Castellina), Caterina (che sposò Antonio Biancardi e fu madre del celebre guerriero Ugolotto) e Donella, che andò sposa a Francesco Lucci.
FONTI E BIBL. : P. Litta, Famiglie celebri, XI, 1870, tav. II; B. Colombi, Soragna. Feudo e Comune, 1986, I, 310-311.

= Legarda, figlia di Guglielmo Rossi e di Donella di Pietro da Carrara (vedi/see)

 

E1. Bonifacio (* 1319 ca. + PAdova 21-6-1390 ), Marchese di Soragna (investito il 13-2-1354), Patrizio Veneto dal 22-12-1355, Governatore di Pieve Primiera nel 1355, Consigliere dell’Imperatore Carlo IV il 9-2-1356, Capitano Generale di guerra di Firenze nel 1362, cittadino di Firenze il 23-1-1369 – forse è lo stesso che il 10-12 1366 era nominato domestico e famigliare di Carlo IV, il 3-5-1373 ambasciatore in Ungheria per conto della città di Padova e il 12-1388 Capitano di Padova (secondo altre fonti sarebbe l’omonimo cugino).

Figlio primogenito di Ugolotto e di Legarda Rossi, dovette, come il padre e gli altri della sua famiglia, subire i soprusi dei Visconti: nel 1351 fu costretto dall’arcivescovo Giovanni a rinunciare a tutti i titoli di origine imperiale e a dargli nel contempo cauzione di diecimila fiorini d’oro (che ottenne tramite l’impegno di vari nobili veneti), dopo di che il Lupis andò esule a Padova, dove, lo stesso anno, nominò un suo procuratore per prendere possesso, a Soragna, dell’eredità paterna. Fedele a Carlo IV, venne dallo stesso (13 febbraio 1354) liberato dal giuramento di obbedienza prestato al Visconti e più tardi (14 giugno dello stesso anno) ottenne l’investitura feudale delle terre di Crema, Pizzighettone e Castelnuovo di Bocca d’Adda, luoghi tutti soggetti ai Signori di Milano e, come tali, non disponibili dall’Imperatore: una concessione, quindi, di nessun valore pratico, che dimostra, alla pari di altre rilasciate a soggetti diversi, la tendenza di quel sovrano a procacciarsi amici e mezzi finanziari con liberalità a basso costo. Avuta nel 1355 la cittadinanza di Venezia, il Lupis fu in quell’anno infeudato da Carlo IV del Castello e Valle di Primiero in Valsugana, di cui nel 1367 promulgò gli Statuti, e fu poi al suo seguito a Roma quando ricevette la corona imperiale. Sempre dal nuovo Imperatore ebbe una pensione di 300 fiorini esigibili dal Comune di Firenze: fu forse questo uno dei motivi che spinse il Lupis a recarsi in quella città, ove nel 1359 risulta alla guida di 30 barbute comunali. Eletto nel 1362 Capitano generale nella guerra contro i Pisani per le franchigie di quel porto, ricevette dalla Signoria il bastone del comando e le bandiere a mezzogiorno del 20 giugno, nell’ora cioè che gli era stata indicata come più propizia dagli astrologi. Riuscì in pochi giorni a mettere insieme un esercito di 1500 cavalli e 4000 fanti (tra cui 1500 balestrieri) e con esso, noncurante del parere avverso dei suoi consiglieri ai quali replicò dicendo che l’arti della guerra erano ben diverse da quelle della mercatura, si diresse da Pescia verso Fucecchio e Castelfranco. Per lo stretto di Valdera corse poi fino a Ghizzano e con l’impeto delle proprie balestre ne costrinse dopo due giorni alla resa la fortezza (26 giugno). Pregiando più il suo honore che la gratia e amore de’ privati cittadini, volle proseguire oltre e in pochi giorni prese e predò Padule, Riccavilla, Castelsampiero, il mercato di Forcoli, guastando e mettendo a fuoco trentadue tra castella, fortezze e villate dei Pisani, nelle quali arsono oltre a 600 case con danno quasi inestimabile. Chiese battaglia al grosso dell’esercito avversario asserragliato a Castel del Fosso e non l’ebbe, ma poi, per mancanza di mezzi e di viveri, preferì ritirarsi a Petriolo, mandando 400 tra barbute e ungari, con 500 masnadieri sotto la condotta di Leoncino dei Pannocchieschi a far prede nelle maremme verso Monte Scudaio, rifiutando comunque per sé quanto come capitano gli competeva. In quell’occasione (secondo l’Angeli e gli altri storici del tempo) furono condotte al campo mille e dugento buffale, novecento vacche, assai vitelli, oltre a mille porci e altro bestiame minuto assai. A dire del Villani, il Lupis fu huomo quasi solitario e di poche parole, ma di gran cuore, di buono e savio consiglio e maestro di guerra, mentre il Marangone annota che fu uomo di suo capo, e non voleva troppo i consigli dei cittadini, e non diceva loro i suoi segreti, e non faceva cosa nissuna secondo il loro volere. E furono proprio i suoi consiglieri, che il Lupis in maniera così evidente aveva più volte messo in disparte, a porlo in cattiva luce verso la Signoria, la quale di lì a poco, temendo conseguenze negative da azioni troppo azzardate, lo sostituì nel comando con Rodolfo da Verano, Signore di Camerino. Dopo essere stato fatto Maresciallo dell’esercito, il Lupis si ritirò ben presto a Firenze, non tollerando la dissolutezza di costumi del nuovo capitano e la conseguente indisciplina del campo. Richiamato però dai Fiorentini, che vedevano peggiorare le sorti della guerra, fu messo di nuovo alla testa di 1000 balestrieri e 200 fanti a cavallo e inviato all’assedio di Peccioli. E quando questa contrada chiese una tregua e patteggiò la propria resa (che avvenne il 10 agosto), il Lupis, ponendosi con le sue insegne a guardia del luogo dopo che una delle due torri era crollata, impedì che i suoi soldati entrassero e violassero col saccheggio gli accordi della capitolazione. Per questa prova di coraggio e di lealtà, il Lupis venne ricompensato con l’onore di fare cavaliere del popolo, a nome del Comune, il conte Aldobrandino Orsini (29 agosto 1362), lo stesso che a nome della Signoria aveva preso il pacifico possesso della città di Peccioli dopo la resa. Nel 1364 fu ancora al soldo dei Fiorentini e più tardi si trovò a fianco del Conte Arrigo da Monforte nella guerra contro i Pisani, che con Manno Donati riuscì a sconfiggere presso il borgo di Cascina (29 luglio 1366). Questi e probabilmente altri meriti gli valsero la concessione della cittadinanza di Firenze, che ottenne il 23 gennaio 1369 con l’esenzione dalle tasse. Non fu tuttavia un’onorificenza isolata, perché già tre anni prima (27 giugno 1366) aveva avuto dall’imperatore Carlo IV un nuovo attestato di considerazione con la nomina a consigliere, segretario familiare, domestico e commensale suo e dell’Impero, con l’assegnazione di sei cavalli e di altrettanti serventi. Intorno al 1372 il Lupis fu a Padova al servizio dei da Carrara, per i quali il 3 maggio andò come ambasciatore al Re d’Ungheria per chiedere nuovi aiuti militari. Comandante nell’esercito carrarese, partecipò a un consiglio di guerra con altri Lupis e di lì a poco venne inviato al cardinale legato di Bologna per perorare la causa contro Venezia. Cavalcò poi verso la Toscana per assoldare sotto le bandiere patavine la compagnia Bianca inglese di John Hawkwood e nell’ottobre dello stesso anno fu a Monselice alla guida di ventimila cerne. Giunte infine le condizioni di pace tra Padova e Venezia, il Lupis fu mandato a trattarle insieme al patriarca di Grado (agosto 1373). Nel 1377 chiese al Comune di Firenze di poter avere una propria sepoltura in San Giovanni: pur esternando la sua volontà di ornare il tempio con vari mosaici e fondarvi quattro cappellanie, non riuscì a ottenerla. Nonostante ciò, legato come era alla città che gli aveva dato onore e fama, diresse subito i suoi intenti alla fondazione di un ospedale con due separate infermerie, in via San Gallo, dopo che la Signoria di Firenze gli aveva autorizzato l’acquisto dell’area necessaria (23 dicembre 1377). L’ospedale, che il Lupis dedicò a San Giovanni Battista e dotò con numerosi beni, venne poi detto di Bonifazio e fu condotto a compimento nel 1387. A esso fu unito anche l’ospedale di San Michele della Croce che il Lupis aveva acquistato dal podestà Pietro Emo. In tutta quest’opera, che gli valse per secoli il ricordo dei Fiorentini, furono spesi ben venticinquemila fiorini d’oro, oltre a una costituita rendita annua di altri 700. Nuove provvidenze patrimoniali furono apportate successivamente dallo stesso fondatore e dalla consorte Caterina. Nel 1388 (13 giugno) la Signoria concesse l’esenzione delle gabelle per i lasciti a favore del nuovo ospedale, al quale nel 1436 papa Eugenio IV assegnò i beni del soppresso monastero di Santa Maria Maddalena di Querceto, dell’Ordine Camaldolese, mentre papa Alessandro VI nel 1503 fece altrettanto per le entrate della chiesa di Santa Maria a Cajano. Due secoli dopo (maggio 1734), mutatisi i tempi e le esigenze della città, papa Clemente XII, al fine di favorire la realizzazione di un ampio Conservatorio dei poveri, soppresse vari pii istituti, tra cui l’ospedale di Bonifazio, e più tardi le sue entrate vennero unite a quelle dell’ospedale di Santa Maria Nuova. Intanto il Lupis, che si trovava sempre al fianco dei Signori di Padova, fu mandato nel 1383 come negoziatore di pace all’Arciduca d’Austria nella guerra di Treviso e poco dopo riuscì a sedare i tumulti popolari contro Francesco Carrara il Novello, al quale il padre, assalito dalla Lega viscontea, aveva rinunciato alla Signoria. In tale azione ebbe l’elogio degli storici del tempo, che lo definirono vecchio d’animo e di senno profondo, in lealtà ed in utile consiglio passato ogni altro cavagliero. Cresciute però le pressioni cittadine, il Carrara fu costretto ad abbandonare Padova e il Lupis, che già era stato membro del Consiglio dei Trecento, fu fatto Capitano Generale del Popolo (dicembre 1388) e fece quell’ufficio con gran discrezione e amorevolezza con tutti, ovviando i pericoli e scandali che occorrevano nella città. Da ricordare che nel frattempo il Lupis, unitamente al cugino Antonio, aveva ottenuto da Gian Galeazzo Visconti la licenza di costruire (come subito fece) un castello in Soragna (1385), segno che il Signore di Milano aveva cominciato a guardare con più benevolenza e considerazione i marchesi Lupis. Il Lupis fu essenzialmente un capitano di ventura e come tale portato quindi a porre le proprie armi al servizio anche di Signorie diverse. Cosicché, come da un lato (e durante pure l’ultimo atto del dominio Carrarese) egli viene definito uomo grave e di gran fede verso i da Carrara, e di molta autorità appresso i Padovani, dall’altro non deve stupire il fatto che il Lupis possa aver accettato i Visconti quando questi vennero a succedere nel dominio patavino. Anche se non figura tra i maggiorenti che prestarono giuramento di fedeltà al nuovo Signore, non esitò a respingere le proposte di tradimento avanzate da Francesco Novello quando gli chiese di aprire una breccia nel muro della sua casa (vicino alla chiesa di San Fermo) per poter entrare in città: "Io non fuy may traditore e mentre io fuy al servitio di la Caxa da Carara fuy liale a loro, e così intendo da eser a la Caxa di Visconti e specialmente dil Conte di Vertù. " Questo diniego potrebbe essere stato la causa della sua morte, avvenuta (secondo il Sartori) il giorno dopo, 21 giugno 1390, a opera dei fautori del Carrarese quando riuscirono a entrare in Padova per il portello di San Matteo. Va comunque detto che nella Cronaca del Gataro non si ha menzione del Lupis né tra quelli che furono uccisi né tra quelli che furono fatti prigionieri o lasciati liberi di espatriare (e per la fama del personaggio un simile evento non poteva passare in sordina), cosicché è logico anche pensare alla sua morte in epoca successiva. Su tale data di morte dissentono l’Affò, il Pezzana e il Litta, i quali l’assegnano al 23 gennaio 1389, secondo cioè quanto inciso sulla lapide marmorea posta sul suo monumento funebre, la quale reca altresì l’elogio del Lupis: Proh dolor! Hic miles iam bello clarus et armis iam terra pelagoque micans Bonifacius atra molle iacet quem Parma tulit qui marchio vixit soranee gentis decus et summa Luporum gloria pro latiis qui quondam plurima gessit praelia ductor heris et saepe decora triumphis hic hic cuius erat consulta resumere letus imperialis apex regique domesticus idem astitit ungarico domino vir gratus utrique quidni? Consilio fuit hic probitate fideque iusticiaque nitens superum devotus et alme relligionis amans quo non praestantior alter recta sequi maiorque sui dilector honoris at quid fata virum tanti prostrasse iuvabit? Sidera mens scandit gelidum licet ossa sepulcrum stringa et aeternum sua vivet fama per aevum MCCC LXXXVIIII die XXIII. Ragionevoli dubbi sulla corrispondenza della data della lapide con quella della morte sono comunque giustificati dall’esistenza di documenti successivi a essa, dai quali risulta evidente l’essere il Lupis in vita: un decreto del ministro generale Fra’ Enrico da Asti datato 30 agosto 1389 con cui gli conferma tutte le precedenti concessioni sulla cappella di San Giacomo, un rogito di Giordano Machiavelli del 9 settembre 1389, con cui il Lupis cede a Giacomo de Alleis, per 300 fiorini d’oro, tutti i crediti da lui vantati verso il banchiere fiorentino Nicolò Bechi e un atto rogato da Andrea Codagnelli il 13 marzo 1390, con il quale il Lupis approva quanto il rettore del suo ospedale ha disposto a favore di alcune monache. Il 10 marzo 1391 la Signoria di Firenze autorizzò gli esecutori testamentari del Lupis a far celebrare in tale città un solenne ufficio funebre cum cera, banderiis, equis, drappis. Prescindendo comunque da questa disputa cronologica, il Lupis già poco più che settantenne, venne sepolto a Padova nella sontuosa cappella che diversi anni prima aveva fatto edificare nella Basilica del Santo e che, forse in ricordo anche dell’originaria Soragna e del titolare della sua chiesa, aveva dedicato a San Giacomo Apostolo. Un ritratto del Lupis è giunto attraverso un’incisione settecentesca tratta da un dipinto su tavola esistente nell’ospedale di Firenze (J. Verkraysse, 1757) raffigurante lo stesso in atteggiamento orante: vicino a lui l’identico stemma che si ritrova nel proprio sigillo. Sposò dapprima (nel 1341) Filippina di Ubertino Lupis, marchese di Soragna, e poi (verso il 1369) Caterina di Antonio Franzesi della Foresta dei Signori di Staggia e di Cina Cinughi di Siena. Quest’ultima fu dama assai colta e raffinata: i suoi ripetuti contatti con Firenze e Siena, ove aveva anche numerosi interessi economici, le offrirono l’occasione di frequentare anche numerosi artisti, per cui non è improbabile che proprio a lei debba imputarsi l’ispirazione per le decorazioni pittoriche della cappella voluta dal Lupis. La Franzesi fu altresì pia e devota, come attestano anche i lasciti a ordini religiosi e le sue disposizioni benefiche. Rimasta vedova, si trasferì a Venezia, di cui in precedenza aveva ottenuto l’ammissione al patriziato, e qui, il 19 luglio 1405, stese il suo testamento e forse nello stesso anno chiuse i suoi giorni terreni. Le sue spoglie però, secondo quanto da lei stessa disposto, trovarono sepoltura a Padova accanto al marito. Il Lupis, non avendo figli, testò il 5 luglio 1388 e, non senza lasciare cospicue rendite a favore della moglie e disporre ampie liberalità per l’ospedale da lui eretto in Firenze (e per il quale fissò dettagliate norme di regolamento), designò come beneficiario della parte più importante del suo patrimonio, compresa la metà del castello di Soragna, il nipote Ugolotto Biancardi, figlio della sorella Caterina. È una disposizione che non trova ragioni immediate, considerando pure che il testamento prevedeva, in mancanza di eredi del Biancardi, il passaggio dei beni ai Rossi di San Secondo, le cui sepolture già avevano trovato posto nella cappella di San Giacomo fatta erigere dal Lupis. Non va d’altronde dimenticato che i rapporti tra zio e nipote erano da tempo divenuti assai stretti, tanto che nel 1386 il Lupis concesse persino a Ugolotto Biancardi la facoltà di fregiarsi del proprio stemma e ornare con questo tanto le sue vesti e armature quanto le sue bandiere: "D. Bonifacius de Lupis digne praemeditans et attendens personam generosam et virtutis multimodae perinsigniti Ugolotti de Blancardis de Parma eiusdem d. Bonifacii nepotis dilecti potestatem dedit ut deinceps perpetuo idem Ugolotus in suis quibuscumque lanceriis vexillis penelonibus supervestibus et armis quibuscumque ac elmis cristudis et galeis, necnon picturis et texturis quibuslibet zimerium et insignem praeclaram vernicis, videlicet capite cum collo vernicino albedine renittentis, cum cornibus nigris infra deductis ac auribus magnis, coloris eiusdem". Sta di fatto, però, che la figlia di Ugolotto Biancardi sposò poi Francesco Lupis, cosicché feudo e beni rimasero ai marchesi né il castello di Gallinella, che il Lupis acquistò il 3 agosto 1378 da Benedetto e Pietro Petroni, né le varie terre in località Corticelle dei Marchesi che a lui vendette Bernardo Vidice di Parma: il tutto infatti (giurisdizione compresa), per disposizione testamentaria, venne ceduto a Maffeo del fu Franceschino Petroni, con il quale il Lupis aveva già in corso altri affari economici. Più ancora che per le sue gesta militari, il nome del Lupis sopravvive per la cappella funebre che egli, sotto il titolo di San Giacomo, volle nella Basilica di Sant’Antonio a Padova, che costituisce uno dei più insigni capolavori artistici del secolo XIV. Venne edificata con inizio nell’anno 1372, quando cioè il Lupis stipulò col veneziano Andreolo de’ Santi i patti per il lavoro architettonico e scultoreo della stessa. la decorazione pittorica, invece, deve attribuirsi ai pennelli di Altichiero da Verona e Jacopo Avanzi, bolognese. il motivo conduttore degli affreschi di tale cappella, per lo più incentrati su episodi della vita dell’apostolo Giacomo, è tratto, pur con alcune varianti, dalla Leggenda aurea del domenicano Jacopo da Varazze: gli stessi committenti vi sono raffigurati mentre, in ginocchio, vengono dai Santi Giacomo e Caterina presentati alla Beata Vergine con Bambino in trono. Nel 1376, pronta la cappella all’officiatura, il Lupis si preoccupò di far conoscere ai frati del Santo quanto aveva disposto in merito alla sua dotazione e agli obblighi da ciò derivanti. Lo attesta anche l’iscrizione marmorea posta in quel luogo: Anno Domini MCCCLXXVI indictione XIIII nobilis miles et marchio soraneae dominus Bonifacius de Lupis fecit fieri hanc capellam ad honorem dei eiusque gloriosae Matris Virginis Mariae et beati Jacobi maioris apostoli cuius capellae altare consecratum est nomine ipsius incliti apostoli super quo de consensu ministri provincialis guardianus et fratres huius ecclasiae qui pro tempore fuerint promiserunt facere celebrari perpetuo singulis diebus tres missas pro anima predicti militis omniumque defunctorum suorum et pro his quidem firmiter observandis quoniam omnis labor optat praemium prefatus dominus Bonifacius reliquit fratribus praedictis annuatim diversis temporibus anni centum et quadraginta ducatos auri quos dare eisdem tenentur sorores minores de arcella nova Paduae absque aliquo earumdem gravamine et ex testamento antedicti militis plenissime continetur. Seguirono poi le varie convenzioni con i Frati Minori di Padova per la celebrazione degli uffici in detta cappella, alla quale più tardi papa Urbano VI concesse l’applicazione dell’indulgenza di un anno e quaranta giorni. In questa cappella il Lupis fece collocare la sua urna funeraria ornata degli stemmi di famiglia, al di sopra della quale venne dipinta l’immagine del Cristo risorto adorato da due angeli. Alato, invece, trovò posto il sarcofago dei conti Rossi. Giova infine ricordare che nel cimitero di Soragna la cappella funebre dei principi Meli Lupis si richiama alla struttura architettonica di quella di San Giacomo: gli stessi affreschi dell’interno ne riproducono alcune scene, unitamente ad altre prese dall’oratorio di San Giorgio.
FONTI E BIBL. :S. Ammirato, Istorie fiorentine, Firenze, 1547; L. Cantini, Memorie storiche delle azioni praticate in Toscana da Messer Bonifacio Lupis, di Parma, Firenze, 1795; A. Gatari, Cronaca carrarese, in RerumItalicarum Scriptores, XVII; D. M. Manni, Osservazioni istoriche sopra i sigilli dei secoli bassi, t. XV, sigillo XII di Bonifacio Lupis, Firenze, 1743; A. Pezzana, Albero genealogico della famiglia Lupis, pubblicato in fine al tomo I della storia di Parma, in continuazione a quella dell’Affò, Parma, 1837; R. Roncioni, Istorie pisane, in Archivio Storico Italiano, t. VI, I, 1844; P. Tronci, Annali pisani, t. IV, Lucca, 1829; G. Villani, Cronaca, Firenze, 1554; Argegni, Condottieri, 1937, 110; V. Spreti, Enciclopedia storico nobiliare, 4, 1931, 541; Dizionario storico politico, 1971, 754; B. Colombi, Soragna. Feudo e Comune, 1986, I, 319-328; Parmenio, in Gazzetta di Parma 11 marzo 1996, 5.
= 1°) 1341 Filippina, figlia di Uberto o Ubertino de Lupis Marchese di Soragna

 2°) ca. 1369 Caterina di Antonio Franzesi della Foresta dei Signori di Staggia e di Cina Cinughi di Siena

Franceschi della Foresta (+ 1405) (vedi oltre)

E2. Giovanni, (Soragna 1321 c. -) Canonico di Padova, Prevosto di Santa Maria di Soragna, dottore in teologia. Lupis GIOVANNI
ONTI E BIBL. :P. Litta, Famiglie celebri, XI, 1870, tav. II.

E3. Una figlia

= Donnino Pallavicino Marchese di Ravarano (vedi/see)

E4. Donella

= Francesco di Guidone di Lucio

E5. Caterina

= Antonio Biancardo (+ post 15-6-1388), cavaliere.

 

D2. Corrado, (* Soragna 1284 c. -post 1329) Marchese di Soragna. Fu canonico della Cattedrale di Borgo San Donnino e nel 1329 prevosto di Santa Maria in Castellina.
FONTI E BIBL. :P. Litta, Famiglie celebri, XI, 1870, tav. II.

= ………

 

E1. Leonello (+ post 1342), Marchese di Soragna.

= ……….

 

F1. Corradino (+ post 1376), Marchese di Soragna.

 

E2. Matteo (+ post 1342), Marchese di Soragna.

= ………. .

 

F1. Niccolò (vediivente 1446/1450), Marchese di Soragna.

 

D3. Franceschina

D4. Agnesina (+ Parma 28-4-1403)

a) = un Pallavicino di Varano

b) = Giacomo Rossi di San Secondo (vedi/see)

D5. Beatrice

= Roberto d'Aldighieri

D5. (Naturale) Bernardino (+ post 1322).

= ………

 

E1. Franceschina

 

C2. Ubertino (+ post 1341), Marchese di Soragna.

C3. Goffredo (+ post 1361), Cavaliere dell’Ordine dei Templari.

C4. Caracosa (+ testamento: 1306)

= Tobia Rangoni, Patrizio di Modena (vedi/see)

 

    D1. Alda Rangoni (+ 1325) patrizia di Modena

    = 1289 Aldobrandino D'Este (+1326) figlia di Obizzo d'Este (*1247 + 1293) e Jacobina Fieschi (+ 1287)

 

B2. Rolandino (+ post 1319/ante 132…), Marchese di Soragna, era chierico nel 1254.

= Matilde

 

C1. Guido III (vediivente 1319/1361/1366), Marchese di Soragna.

= Mabilia

 

D1. Simone (+ ca. 10-1-1385), Marchese di Soragna; ambasciatore della città di Padova nel 1362,

Consigliere dell’Imperatore Carlo IV, Podestà di Padova nel 1364, 1365 e 1366 e nel 1384,

Capitano Generale di Padova nel 1372, cittadino di Padova il 10-12-1375, cittadino di Mantova

il 5-12-1377.

Fu certamente il più illustre dei figli di Guido di Rolandino e di Mabilia. Suoi fratelli furono Folco, miles strenuus, Giovanni, Antonio, Montino Giovanni, canonico in Padova nel 1350, Galeotto, Tommasina e Matilde. Ambasciatore di Francesco Carrara, il Lupis fu mandato nel 1362 in Friuli per sedarvi, insieme al Legato del Re d’Ungheria, Federico da mattaloro, le discordie tra i sudditi del Duca d’Austria, del Conte di Gorizia e della Chiesa d’Aquileia. Il 15 agosto dello stesso anno riuscì a far firmare una tregua e, recatosi in Ungheria, un arbitrato col re Lodovico. Dal 1° marzo 1364 all’ultimo di febbraio 1368 fu Podestà in Padova e le sue annuali riconferme testimoniano i meriti da lui acquisiti nello svolgimento della carica, tanto che il 4 maggio 1370 ebbe dal Signore di Padova il privilegio della cittadinanza. In quel tempo fu anche nominato familiare dell’imperatore Carlo IV, con titolo di consigliere e segretario (27 giugno 1366). Esperto capitano dell’esercito carrarese, prese parte nel 1372 alla guerra tra Padova e Venezia. Tenne col fratello Antonio i forti di Campo Sampiero, del Serraglio di Sant’Elero e di Mirano e il 16 settembre di quell’anno, approfittando di certi tumulti sorti tra le soldatesche avversarie che protestavano per l’esiguità del loro salario, fece con lui una scorreria fino alle porte della città di Treviso, facendo qui per dispregio sonare molti instromenti musicali e ritornandosene con abbondante bottino. Ebbero altresì la meglio, pur inferiori di truppe, nello scontro con i Veneziani che avevano saccheggiato e arso il borgo di Solagna: in tale occasione condussero al campo patavino ben 1250 prigionieri, tutti da taglia. Nominato Capitano generale, fu inviato il mese successivo contro l’esercito veneziano comandato da Riniero dei Vaschi, che era già arrivato a Mestre, e dopo alcuni scontri che avevano determinato la rottura del ponte di Curtarolo, lo costrinse a ripassare il Brenta, non senza tuttavia un duro combattimento alle Brentelle. In quell’occasione il Lupis diresse in maniera valorosa e tenace tale bastia, e quando la capitolazione delle sue truppe sembrò imminente egli tolse le brigate ch’erano alle bandiere, le mise sopra i terragli e chiese bombarde infinite. Questo provocò un capovolgimento delle sorti della battaglia: lo stesso comandante veneziano Federico Todesco venne colpito, per modo che poco passato gli convenne morire. Vi furono poi altre occasioni fortunate per le armi patavine, ma quando l’anno dopo, per avere i Veneziani ristrutturato l’esercito, le sorti della guerra volsero a loro sfavore, il Lupis venne sostituito nel comando dal conte Rizzardo di San Bonifacio (2 marzo). Nel corso del conflitto, il 1° luglio 1373 fu fatto prigioniero. Il 31 luglio 1376 rimase ferito nella battaglia diMestre, che segnò una vergognosa sconfitta per le truppe padovane. Nel 1374 rese alla salma del Petrarca, del quale fu amico fraterno, un tributo di riverenza e di dolore allestendo splendide cerimonie funebri. Nel 1377 ottenne, per decreto del principe Ludovico Gonzaga, la cittadinanza di Mantova (5 dicembre). Rimase tuttavia per lo più a Padova continuando a occupare posti ragguardevoli presso la Signoria. Il 21 agosto 1380 firmò a Venezia la pace tra Padova e Venezia. L’8 agosto 1381 fu, con Bonifacio e Ugolotti Lupis, rappresentante dei Carraresi a definire i confini tra Padova e Venezia e a siglare la pace tra le due contendenti. Nel 1382 gli venne di nuovo affidato il comando dell’esercito nella guerra di Chioggia. Con Francesco Carrara mise il campo intorno a Treviso, che levò in seguito all’avvenuta pace con i Veneziani. Sotto di lui si trovarono allora 5000 lancie e pedoni 1500, con molti balestrieri. Volendo però Leopoldo d’Austria riprendersi quella città, il Lupis ritornò l’anno dopo sotto le sue mura (14 agosto 1383) e, dopo aver avuto i campi di Feltre e Belluno ed eretto una grossa bastia a Nervesa, costrinse le truppe austriache a scendere in soccorso degli assediati. Scrisse di quest’azione il Gataro: Il magnifico capitano dell’esercito padovano si fermò col campo a Santi Quaranta, e fece fare un ponte che traversava il Sile per poter correre alla porta Altilia con più suo commodo. E mise molti pezzi di bombarde dietro il monistero di S. Girolamo, e quello di Santa Maria Mater Domini. E quelle bombarde tirarono per tutto il borgo, e ogni notte faceva fare buonissima guardia a 80 lancie d’uomini d’arme, e molti fanti a piedi e balestrieri. Seguirono alterni combattimenti, favorevoli ora all’una ora all’altra parte, finché di nuovo Treviso fu costretta ad arrendersi al Carrara: il 4 febbraio 1384 il Lupis entrò per primo nella città vinta e si dice che lo facesse in pompa magna, alla testa di mille balestrieri guidati da Cermisone da Parma, con la targa del Carro, e con un gran pennone verde sopra il cimiero del Saracino, venivano poi Paolo da Bologna con duemila fanti guidati dal conte Giovanni da Barbiano e infine, affiancati, il duca Leopoldo e Francesco da Carrara. In quello stesso anno (6 novembre) venne chiamato per la quinta volta a reggere la carica di podestà di Padova, succedendo così a Marin Memmo, ma due mesi più tardi morì. Venne sepolto nell’oratorio di San Giorgio e sul suo sarcofago venne posta la seguente iscrizione funebre (chiostri della Basilica di Sant’Antonio): Egregius miles quem stirps generosa luporum progenuit symon rupe sub hac tegitur. Patruus hic secum fratres duo pace quiescunt. Heu colit exiguam turba quaterna domum. Orta crisopolis decoravit marchionatum soraneae sensu moribus atque fide. Iusque dedit patavis bis praeses jure secundo defecit castris dux fuit armigeris mensque recepta deo est meruit super astra levari dotibus innumeris lucida fama patet. Qui dominus Symon obiit a. MCCCLXXXV ind. VIII die X ianuarii. In questo sepolcro, che il Gonzati descrive come recante una croce nei due fianchi, nel prospetto altre due, e nel mezzo lo scudo col lupo azzurro rampante in campo d’oro, trovarono dunque posto altri tre membri della famiglia Lupis, come attestato anche da una lapide collocata vicino a esso: Hic iacent nobiles de Lupis marchiones soraneae parmensis dioecesis domini Antonius praepositus Soraneae qui obiit MCCCXXXVIII montinus Johannes canonicus patavinus qui obiit MCCCLXIIII atque fulcho miles strenuus qui obiit MCCCLXVIIXXIIII septembris. Il Lupis, che sposò Rengarda di Manfredo conte di Como, non ebbe figli. Lasciò suo erede principale il fratello Antonio e con testamento dispose anche l’erogazione di 500 ducati d’oro per maritare o monacare fanciulle povere di Soragna, nonché cospicui lasciti a favore dei Frati Minori di Parma, Padova e Casalmaggiore e dei Padri Carmelitani di Padova.
FONTI E BIBL. : P. Litta, Famiglie celebri, XI, 1870, tav. III; B. Colombi, Soragna. Feudo e comune, 1986, I, 315-318.
= Rengarda, figlia di Manfredo Conte di ……

D2. Giovanni, Marchese di Soragna.

D3. Galeotto (+ post 1361), Marchese di Soragna.

D4. Antonio (* Parma 1335 + Padova o Mantova 1412), Marchese di Soragna associato ai fratelli (investito nel 1364 e 1366), Podestà

di Pavia nel 1359, Podestà di Belluno nel 1368, Podestà di Trento nel 1393, Capitano Generale degli eserciti di Padova nel 1372.

Ebbe insieme agli altri Lupis l’investitura della corte di Soragna (1347) da Carlo IV. Nel 1356 combattè in favore dei Genovesi contro i Visconti e rimase prigioniero nella battaglia di Casorate. Fu podestà di Pavia nel 1359 e combattè con onore contro Galeazzo Visconti: a tal proposito l’Angeli scrive che il Lupis fu capitano dei pavesi, e ruppelo, uccidendovi molti nobili e facendone assai prigioni, oltre una innumerevole moltitudine d’altri che ne restò uccisa e presa. Alla fine, però la città di Pavia cadde nelle mani delle truppe milanesi. Assunse poi nel 1368 la podesteria di Belluno. Nel 1370 fu inviato dalla città di Padova a prendere in consegna dal podestà Ugolino Scrovegni la città di Belluno. In data 10 novembre 1372 è nominato nel trattato di pace tra i Visconti e la Lega. Nel 1372 risulta capitano dei Padovani nella guerra contro Venezia, distinguendosi, insieme al fratello Simone, in vari fatti d’arme vittoriosi per i Carraresi. A lui si deve la distruzione, avvenuta il 15 dicembre, delle bastie di Lugo e di Lova. L’anno dopo, il 1° luglio 1373, nello scontro presso la bastia di Buon Conforto, venne tuttavia fatto prigioniero insieme al conte di San Bonifacio (che l’aveva in precedenza nominato capitano di Piove di Sacco) e ad altri comandanti patavini e ottenne la liberà soltanto il 27 settembre, stabilita che fu la pace tra le due città. Nel 1378 risulta coinvolto nella sconfitta di Mestre e, secondo il Litta, è il solo dei Lupis che nel 1387 si ricordi nella guerra contro gli Scaligeri: al fatto d’arme di Brentella (11 Maggio) guardava la bandiera. Nel 1385, insieme a Bonifacio Lupis, ottenne dal Conte di Virtù la facoltà di costruire un castello in Soragna, ove possedeva diversi beni in località Cantone dei Manghi. Dopo essere stato nel 1393 Podestà di Riva di Trento, non si hanno di lui molte notizie, se si esclude quella di una sua presenza a Parma nel 1407, ove figura, in età certamente assai avanzata, tra i membri del Consiglio Generale. Venne sepolto nell’oratorio di San Giorgio in Padova, accanto allo zio Raimondino. Ebbe pure la sua statua funebre e l’iscrizione D. nus Antonius marchio Soraneae, nepos. In precedentza testò a Mantova, ove risiedeva in Contrada Sant’Egidio, a favore del figlio Raimondino, disponendo vari legati a beneficio della moglie. All’ospedale Rodolfo Tanzi di Parma lasciò due casamenti da lui acquistati in Soragna e due pezze di terra nella stessa giurisdizione, che erano già state della madre Mabilia. Nel 1361 sposò Luisina di Tommasino Beccaria di Pavia ed ebbe un unico figlio, il Raimondino già ricordato.
FONTI E BIBL. :P. Litta, Famiglie celebri, XI, 1870, tav. III; V. Spreti, Enciclopedia storico nobiliare, 4, 1931, 541; B. Colombi, Soragna, Feudo e comune, 1986, I, 318-319.
= 1361 Luisina, figlia di Tommaso Beccaria, Patrizio di Pavia

 

E1. Raimondo o Raimondino (+ post 1418), Marchese di Soragna. Lupis RAIMONDINO
Seguì le sorti di Nicolò d’Este, quando fu Signore di Parma, contro i Pallavicino.
FONTI E BIBL. : V. Spreti, Enciclopedia storico nobiliare, 4, 1931, 541.

= Maddalena dei Caimi
 

F1. Francesco (* Soragna 1389 + ivi 1475 testamento: 5-7-1474), Marchese di Soragna (investito dal Duca di Milano il 14-7-1450).

Ancora giovanetto successe al padre nel marchesato di Soragna, potenziato con il matrimonio, avvenuto nel 1407, con Caterina di Ugolotto Biancardi, erede di metà castello e di buona parte delle sostanze dei Lupis. Il 4 giugno 1409 il Lupis venne accolto nella Lega costituitasi tra il duca di Milano Giovanni Maria Visconti, Nicolò d’Este, marchese di Ferrara, Pandolfo Malatesta, signore di Brescia, e Cabrino Fondulo, signore di Cremona, contro Ottene Terzi, suoi eredi e seguaci. A nome della Lega stessa, il vescovo di Luni, Giacomo Rossi, gli fece promessa della riconferma di tutti i suoi diritti sul feudo di Soragna (che nell’atto è detto castrum Luporum), con relativi privilegi, immunità, esenzioni e preminenze. In cambio il Lupis si impegnò a combattere i seguaci del Terzi, usque ad eorum finale exterminium e a non dare loro asilo o vettovaglie né stipulare con essi alcuna pace occulta o soltanto tregua, senza il consenso degli alleati. Nel 1415 si trovò implicato in una congiura contro il marchese Rolando Pallavicino: il tentativo di far sorprendere da dodici suoi armati il castello di Santa Maria tenuto dal Magnifico non ebbe successo e gli stessi uomini del Lupis, catturati, furono condannati a morte da Bassano Fraganesi, vicario di quel luogo. Solo più tardi, intervenuta una transazione tra le due parti, essi poterono venire graziati ed essere così messi in libertà. L’avversione per i Pallavicino si manifestò ancora in un altro fatto d’arme, quando, con i Rossi, i Sanvitale e i Barbiano, soccorse nel 1418 Zibello assediata dalle truppe di Antonio e Donnino, costringendole a desistere dall’impresa. Già compreso nella tregua intercorsa nel 1416 (30 luglio) tra il Duca di Milano e i da Correggio, signori di Parma, il Lupis perseguì in quel tempo una politica di totale allineamento con i Visconti, tanto che nel 1421, decretata da Filippo Visconti la distruzione di Madregolo, ne ottenne un particolare decreto di salvaguardia per i beni da lui posseduti in quel luogo. Un ulteriore privilegio di immunità riuscì poi ad avere dallo stesso Duca il 2 marzo 1426, con particolare riferimento anche al castello e alla corte di Soragna. Negli anni successivi ebbe inizio una lunga serie di controversie con Rolando Pallavicino a proposito di confini verso Samboseto: il Lupis riuscì tuttavia a ottenere favorevoli sentenze, la prima pronunciata dal delegato ducale Luchino Curti il 29 aprile 1427 su pretese imposizioni a carico di coloro che per recarsi nelle possessioni di Roncole erano costretti a transitare nella giurisdizione del medesimo Rolando Pallavicino, la seconda (del 26 giugno 1436) emessa dal podestà di Parma Corrado del Carretto, consistente in un precetto penale al Pallavicino affinché non rechi molestia agli uomini di Soragna e non imponga a loro carico indebite gabelle. Nuove vertenze per uguali motivi il Lupis le sostenne con i feudatari limitrofi, vale a dire il conte Stefano Sanvitale di Fontanellato (1456) e il conte Pier Maria Rossi di San Secondo (1459). Ribellatosi intanto Francesco da Correggio al Visconti, il Lupis parteggiò ancora una volta per quest’ultimo e nel 1432 mandò le proprie truppe in aiuto di Erasmo Trivulzio che stava assediando il Correggio in Casalpò, contribuendo così alla sua cattura. Quando poi Filippo Maria Visconti intentò guerra a Venezia (1438), crebbero per i feudatari le imposizioni fiscali: il Lupis pagò dapprima i 200 ducati d’oro posti a suo carico (24 luglio 1439) e ottenne tre giorni dopo la riconferma dei privilegi feudali che il Duca aveva revocato ma quando le pretese ducali divennere sempre più frequenti e onerose egli, alla pari di altri nobili, non mancò di opporvisi e a nulla valsero le minacciose lettere ingiuntive spedite dai maestri delle Entrate. Coinvolto nelle vicende che nel 1447 portarono gli Sforza ad avanzare le loro pretese di successione sul ducato di Milano (in contrapposizione a Venezia, che per questa causa non aveva mancato di scendere in guerra), il Lupis si fece carico di tenere informato il Comune di Borgo San Donnino sul passaggio delle truppe del conte Francesco Sforza, promettendo di accogliere gli eventuali espatriati e di non dare asilo alle forze avversarie, il che puntualmente attuò alzando i ponti del proprio castello al viceré Alfonso d’Aragona (designato per testamento da Filippo Maria Visconti alla successione nel Ducato di Milano) in transito, nel settembre di quell’anno, per le terre di Soragna. Raggiunto che fu nel 1449 un accordo tra il Comune di Parma e Francesco Sforza, al Lupis venne assicurato il possesso di tutti i suoi beni: item che prefacto Signore sia tenuto providere cum effecto et fare che lo spectabile Francisco Lupo Marchise de Soranea sia mantenuto et defesso in pacificha possessione vel quaxi de tuti et ciaschuni beni ragione et jurisdictione, cusì in lo territorio cremonese como altra segundo luy ha tenuto et posseduto per lo passato. Tutto ciò gli confermò l’anno seguente lo stesso Sforza, ottenuto che ebbe il Ducato di Milano. Quando più tardi il potere passò nelle mani di Galeazzo Maria, il Lupis non tardò a inviare il proprio figlio Raimondino a giurare fedeltà al nuovo Duca (1466), ricevendone così un’ennesima riconferma dell’investitura feudale (9 marzo 1467). Gli ultimi anni del suo governo non furono caratterizzati da particolari avvenimenti, se si escludono varie diatribe con la Comunità di Borgo San Donnino (1466 e 1468) e con quella di Soragna (1469 e 1470), sempre in materia di prerogative. Dopo aver ottenuto da Galeazzo Maria Sforza la cittadinanza di Milano, il Lupis testò il 5 luglio 1474 a favore dei figli Bonifacio e Raimondino, costituendo tra l’altro anche numerosi legati a favore di chiese e di conventi. Volle la fondazione di un beneficio semplice nell’oratorio di Santa Maria Annunziata di Soragna e dispose lasciti anche per l’oratorio di San Prospero, che due decenni prima aveva fatto riedificare, dotandolo poi della rendita di 25 biolche di terra con l’obbligo di una messa quotidiana. Con quest’atto dispose altresì la primogenitura maschile per la successione del feudo di Soragna. Il Lupis, secondo la sua volontà, venne sepolto nella chiesa dell’Annunziata di Parma ove, nel 1453, aveva fatto costruire il proprio sepolcro. Le sue spoglie furono trasferite nel 1546 nella chiesa di Santa Maria di Soragna, unitamente all’originaria pietra tombale in marmo rosso di Verona recante, oltre all’arma dei Lupis, anche la seguente iscrizione: Hoc Franciscus opus tumuli de prole Luporum marmoreum condi statuit qui marchio dignus imperio titulo soragnee sceptra gubernat mille quadringentis domini currentibus orbe quinquaginta annis tribus et super inde repostis. Il Lupis ebbe sei figli: Raimondino, Bonifacio, Bartolomea, che sposò nel 1431 Baldassarre di Antonio Aldigeri, Anna, sposa a Bonaventura Torelli di Mantova, Elisabetta, che sposò nel 1450 Francesco Bravi, e Antonio, coniugato a Elisabetta Sanvitale e premorto al padre.
FONTI E BIBL. :P. Litta, Famiglie celebri, XI, 1870, tav. IV; B. Colombi, Soragna. Feudo e Comune, 1986, I, 329-332.

= 1407 Caterina, figlia di Ugolotto di Antonio Biancardo (nipote dunque di Caterina Meli)

 

G1. Raimondo o Raimondino (Soragna 1408 c. -Milano 1488 + 1484), Marchese di Soragna dal 1474 (investito dal Duca di Milano il 6-12-1477), Giureconsulto collegiato a Parma dal 21-11-1447, Consigliere Segreto del Duca di Milano dal 3-1-1477, cittadino di Parma dal 1480, Consigliere del Marchese di Mantova con il titolo di Vicario di Corte, componente della Corte di Giustizia di Milano nel 1471. Lupis RAIMONDINO
Il nome del Lupis è legato alla fondazione del Consorzio dei poveri, la benefica istituzione che per cinque secoli operò a Soragna a favore degli indigenti: con suo testamento del 1484, il Lupis dispose infatti un legato a carico dell’Ospedale della Misericordia di Milano (che aveva ampiamente beneficato con vari lasciti) affinché ogni anno venisse erogata la somma di cento lire imperiali per dotare alcune nubende di onesti costumi e prive di mezzi, delegando a tale scelta il rettore di San Giacomo e il podestà di Soragna. Fu dal padre Francesco avviato agli studi giuridici e, dopo aver ottenuto la laurea in ambo le leggi, venne aggregato al Collegio dei Giudici di Parma. Risiedette per molti anni a Mantova, nel cui territorio possedette anche diversi appezzamenti di terreno, e fu consigliere del marchese LudovicoII col titolo di Vicario della Corte. Venne poi (1471) ascritto alla Corte di Giustizia di Milano e gli storici non mancano di annotare che fu austero e incorruttibile magistrato. Passò infine alla Corte Ducale, presso la quale già nel 1466 e nel 1470 si era recato per giurare fedeltà a Galeazzo Maria Sforza in nome del padre, e dallo stesso Duca venne nominato, il 1° gennaio 1475, membro del Consiglio Segreto. Come tale fu presente due anni dopo alla stesura dei capitoli per la reggenza assunta dalla duchessa Bona in nome del figlio Gian Galeazzo. Dalla stessa ebbe in quell’anno, insieme al fratello Bonifacio, la conferma dell’investitura feudale su Soragna e degli annessi privilegi e immunità (6 dicembre 1477). In precedenza aveva ottenuto la cittadinanza di Piacenza (1473) e il 10 aprile 1480 ebbe quella di Pavia. Il Lupis viene ricordato anche come persona assai colta e amante delle lettere: dal padre ereditò un buon numero di codici e di libri e altri ne raccolse in seguito. Corrispondendo il 15ottobre 1441 col cognato Baldassarre Aldighieri, parla dei Sinonima di Cicerone e più tardi (26 giugno 1449), sempre con lo stesso, menziona libri di Virgilio e di Ovidio, nonché il De officiis e le Epistole di Tullio, tutte opere al medesimo prestate. Per disposizione testamentaria, tutta la sua biblioteca passò al Convento di SantaMaria delle Grazie in Milano: i libri donati furono tanti da riempire tutti i banchi della libreria e il Lupis stesso si premurò della loro conservazione facendo a sue spese con catene e chiavi assicurare dalle mani infide. In questa stessa chiesa il Lupis volle essere sepolto: lo fu in mezzo al Capitolo. Alla morte di lui e della moglie venne scritto che tutt’e due furono vero Padre e Madre dei frati di San Domenico. Testò il 13 aprile 1484 a favore del fratello Bonifacio e del nipote Diofebo e a questo trasmise il diritto di primogenitura già stabilito dal padre. Dal matrimonio con Margherita Giorgi di Pavia, avvenuto nel 1458, non nacque infatti figlio alcuno. Morì probabilmente nel 1488, anno in cui Bonifacio Lupis ratificò il suo testamento e la conseguente successione. I numerosi legati disposti in morte dal Lupis mostrano più di ogni altra cosa la sua indole e i suoi sentimenti, con particolare riguardo anche al paese di origine: oltre alla già citata fondazione del Consorzio, stabilì infatti un’entrata di 95 lire annue per la Comunità di Soragna a uso delle proprie necessità, un’elargizione di 40 lire ogni vigilia diSan Giacomo e l’assegnazione della terza parte delle entrate delle biade a favore dei poveri del feudo, beneficò poi vari luoghi pii, conventi e chiese, tra cui SanGiacomo e SantaMaria Annunziata, nonché i detenuti nelle carceri di Mantova.
FONTI E BIBL. : I. Affò, Memorie degli scrittori e letterati parmigiani, II, 1789, 278-280; V. Spreti, Enciclopedia storico nobiliare, 4, 1931, 541; B. Colombi, Soragna. Feudo e Comune, 1986, I, 332-333.

= 1458 Margherita Giorgi di Pavia. Esiste (va?) la lapide che la ricorda: HOC IN LOCO REQVIESCIT CORPVS D MARGARITAE OLIM CONSORTIS MAGNIFICI D. RAIMVNDI DE LVPIS MARCHIONIS SORAGNAE DIOCESIS PARMEN SIS ET DE DVCALI SECRETO CONSILIO EXISTENTIS QVAE REDDIDIT SPIRITVM ALTISSIMO D DEO NOSTRO DIE XVIIII MENSIS MARTII MCCCCLXXXI ч HANC SIBI DOMINICI MATREM ORDO FVISSE FATETVR PVPILLI ET V1DVAE NOSQVE FATÏ MVR IDEM Extat in medio Capituli in quo paullo poll ab Uxoris morte conditum fuit etiam cadaver praefati Magnifici Raymundi

G2. Bonifacio (* Soragna 1409 + ivi 1/4-2-1497), Marchese di Soragna dal 1484 (investito dal Duca di Milano il 13-6-1495), istituisce una primogenitura a favore del figlio Diofebo. Lupis BONIFACIO
Ebbe per intero il governo del feudo di Soragna alla morte del fratello Raimondo (1488 c. ) che già aveva testato a suo favore. Con lui, nel 1477, giurò fedeltà alla duchessa Bona e al figlio Gian Galeazzo, ottenendone la riconferma dei privilegi feudali. Quando però Ludovico Sforza venne in possesso del ducato di Milano, il Lupis gli dovette produrre tutti i titoli domostranti la sua posizione e il 26 giugno 1495 ebbe dal giudice Antonio Buchiarini, delegato ducale, una favorevole sentenza che attestò la legittimità del possesso di Soragna. Lo stesso Duca, il 30 maggio 1496, gli rinnovò l’investitura e confermò il maggiorasco già disposto dal marchese Francesco Lupis. In tal senso (a favore cioè del primogenito Diofebo) egli testò il 16 dicembre 1496, non senza tuttavia destinare mobili, crediti e denari agli altri due figli, Leonello e Galeotto. Di indole religiosa, il Lupis nel 1490 volle l’erezione in Soragna di una chiesa sotto il titolo della Visitazione di Maria Vergine, la dotò di un adeguato beneficio fondiario (1494) e due anni dopo affidò il tutto ai Padri dei Servi dell’Osservanza affinché, stabilitisi a Soragna, vi edificassero un proprio convento, per la quale opera destinò anche il relativo terreno. Si interessò della cura del proprio feudo e amministrò la giustizia anche con severità: si dice, a esempio, che fece tagliar la testa a un suo suddito, riconosciuto colpevole di omicidio. Alla su amorte fu presente nella Rocca di Soragna il governatore di Parma, Francesco Fontana, inviato dal Duca di Milano perché si desse immediata attuazione alle disposizioni testamentarie a favore di Diofebo. Venne sepolto nella chiesa dei Servi di Maria. Sposò Costanza degli Uberti, mantovana, ed ebbe diversi figli: Diofebo, che gli successe nel feudo, Leonello, che con Galeotto contrastò al primo il suo insediamento e finì poi i suoi giorni in Francia, avvelenato, dal quale ha origine la linea trasferitasi a Malta, Galeotto, che il 1° gennaio 1491 venne condannato dal tribunale degli Otto Savi di Firenze a pagare 150 fiorini d’oro per aver tentato di falsificare il testamento dello zio Antonio e che secondo il Litta sarebbe morto di morte violenta, Fabrizio, che fu il primo rettore del beneficio di Sant Maria Annunziata (1476) e successivamente lo fu di quello di San Martino eretto nella chiesa di Sant’Andrea in Parma, e Antonio, che morì a Ferrara e dal quale ha orgine appunto la linea di Ferrara, detta in seguito anche Luppis. Ebbe anche Francesca, sposa al nobile bresciano Achille Martinengo, Luisa, che sposò Emanuele Pallavicino, Ginevra, maritata in Ottaviano Del Carretto, Mabilia, coniugata con il conte Pietro Scotti il 14 luglio 1487, Alda monaca col nome di suor Elisabetta, e infine Caterina che, sposatasi col nobile cremonese Giambatista Meli, generò vari figli tra cui Giampaolo, erede del feudo e primo dei marchesi di Soragna col cognome Meli Lupi.
FONTI E BIBL. :P. Litta, Famiglie celebri, XI, 1870, tav. IV; V. Spreti, Enciclopedia storico nobiliare, 4, 1931, 541; B. Colombi, Soragna. Feudo e Comune, 1986, I, 334-335.
= Costanza (o Margherita Costanza) degli Uberti, di Mantova

 

H1. Diofebo (Soragna 1434 c. -Soragna 5 marzo 1514 testamento: 24-10-1515), Marchese di Soragna dal 1497, giura fedeltà

alla Chiesa il 14-9-1512. Nomina erede il nipote Meli.
Primogenito del marchese Bonifacio e di Costanza degli Uberti, il Lupis poté venire in possesso del feudo di Soragna soltanto con l’intervento diretto del Governatore di Parma, Francesco Fontana, che, in esecuzione degli ordini ducali, si recò personalmente nel conteso castello per tenere testa alle pretese dei fratelli Leonello e Galeotto e dare così attuazione a quanto già disposto per testamento dal padre loro. Dopo alterne vicissitudini che lo posero in aperto contrasto con questi ultimi, il Lupis riuscì alla fine ad avere la piena disponibilità del marchesato. Di lì a poco, però, venne processato per aver parteggiato (almeno secondo l’accusa) per Ludovico il Moro quando questo, all’inizio del 1500, tentò di riprendersi, senza tuttavia riuscirvi, il Ducato di Milano tenuto dal re di Francia Luigi XII. Il Lupis si difese asserendo di avere sì fatto ammainare le bandiere francesi e issare quelle sforzesche ma di averlo fatto soltanto per scoraggiare le truppe di Galeotto e Pierino Lupis che stavano per assalire, con l’aiuto dei Sanvitale, la rocca di Soragna. Questa versione, vera o falsa che fosse, venne accettata dagli inquirenti e il Lupis ebbe salvo il feudo. Sempre al Re di Francia egli assicurò la sua fedeltà in occasione di un’assise di feudatari convocati appunto dal Signore di Milano nel maggio del 1509 per un sondaggio sulla loro disponibilità per l’eventuale fornitura di armati. Non si hanno molte notizie sul governo del Lupis, che comunque, a giudicare da certi atti, sembra fosse improntato a non poca rigidità: venne infatti scritto che portava grande amore alli suoi huomini, et gli faceva bono trattamento et non voleva che nessuno ne scalcagnasse ma anche che inesorabile nel far eseguire i suoi ordini severi, in manco di un anno ne fece impichar forse sei, uno dei quali era suo servitore. Di contro si ha una testimonianza del 1498 che definisce il Lupis "vir pacificus, quietus, amator pacis et concordiae et bonae qualitatis et clemens et vere nobilis devotus et non rixosus". Nel 1499 stipulò convenzioni con l’architetto Giovita de Fays, bresciano, per ampliare con edifici la zona circostante la rocca e a questa apportò strutturali modifiche. Nello stesso tempo si rese benefattore del nascente convento dei Padri Serviti. sempre sotto questo profilo il nome del Lupis appare su di un elegante altorilievo marmoreo in edicola architettonica, nella cappella della rocca, raffigurante Cristo coronato di spine. L’opera, forse in origine appartenente a un complesso di più ampie dimensioni, reca sulla base la firma dello scultore Giovanni Amadeo: "Diophebus Lupus fecit fare 1470. J. A. De Amadeis fecit hoc opus". Il Lupis sposò nel 1489 Caterina di Giovanni Francesco dei Pallavicino di Zibello e poi, nove anni dopo, Caterina di Francesco Castiglioni dei Signori di Garlasco e Marano e di Rosanna del Maino. Non ebbe però figli, sicché nel 1499 testò a favore dei fratelli Antonio Maria per una metà e Galeazzo e Cristoforo Pallavicino per l’altra. Quando però verso il 1508 nacque Giampaolo, nipote della sorella Caterina, il Lupis lo volle presso di sé a Soragna e su di lui concentrò le sue attenzioni, tanto che il 24 ottobre 1513, ottenuta dalla Santa Sede (che era succeduta nel dominio di Parma) l’autorizzazione a testare in tal senso, lo designò suo erede universale, revocando così le sue precedenti disposizioni. Tale decisione non piacque a Giovanni Castiglioni, suo parente, che, vantando certi crediti verso il Lupis, si rivolse subito (28 ottobre 1513) a Massimiliano Sforza, con la speranza che questo potesse un giorno riavere il ducato di Milano, e dal medesimo ottenne un diploma d’investitura per il marchesato di Soragna, da rendersi esecutivo alla morte del Lupis. Tale evento però non si verificò perché il giorno stesso del decesso Giambattista Meli, padre di Giampaolo, con l’aiuto delle armi pallavicine prese possesso del feudo, ricevendo anche dal popolo il rituale giuramento di fedeltà. Il Lupis venne sepolto nella chiesa dei Servi in Soragna, alla quale per testamento lasciò vari beni: con questo atto, e successivo codicillo del 2 marzo 1514, dispose 127 legati a favore anche di suoi dipendenti e di vari conventi e chiese, tra cui quella di Diolo, aumentò inoltre il numero delle ragazze da dotare e stabilì nuove periodiche elemosine a favore degli indigenti del territorio soragnese. Il Lupis fu l’ultimo del ramo diretto dei marchesi Lupi di Soragna: dopo di lui il feudo passò al pronipote Giampaolo Meli, dandosi così origine alla famiglia Meli Lupi.
FONTI E BIBL. :P. Litta, Famiglie celebri, XI, 1870, tav. IV; B. Colombi, Soragna. Feudo e Comune, 1986, I, 335-337.
= 1°) 1489 Caterina di Giovanni Francesco dei Pallavicino di Zibello

 2°) 17-3-1498 Caterina Castiglioni, figlia di Gianfrancesco Consignore di Garlasco e di Rosanna del Maino (+ 21-10-1513) (vedi/see)

H2. Alda, monaca col nome di suor Elisabetta

H3. Lionello (Soragna 1435 + in esilio in Francia, forse avvelenato, post 1500), Marchese di Soragna. CAPOSTIPITE DEI de LUPIS DI MALTA. Nel 1497 fu arrestato assieme al fratello Galeazzo dal governatore di Parma, Fontana, e il duca di Milano cedette il castello di Soragna al fratello maggiore Diofebo. Il Lupis, alla testa di un gruppo di armati, riuscì in seguito a riprendere il possesso del castello, che però il senato milanese il 9 febbraio 1498 restituì a Diofebo, spogliando per di più di tutti i beni gli altri fratelli. Il 1° settembre 1498 il Lupis tentò ancora una volta di sorprendere la rocca di Soragna cercando di far esplodere la polveriera ma il colpo di mano non riuscì. Passò allora al comando dei militi del Sanseverino, conte di Cajazzo, e nell’anno 1500 si riappacificò con Diofebo. Si recò in seguito in Francia, dove morì avvelenato.
FONTI E BIBL. :P. Litta, Famiglie celebri, XI, 1870, tav. IV. Morto il padre, coi fratelli Galeotto e Diofebo tenne Soragna. Arrestato insieme a Galeazzo Pallavicino dal governatore Fontana (1497), vedevano entrambi ceduto il Castello a Diofebo per ordine del Duca. Lionello, con un manipolo di armati lo riprende, ma il senato (9 febbraio 1498) lo restituisce a Diofebo il quale spoglia i due fratelli di tutti i loro beni. Lionello tentò nuovamente di riprendere Soragna (1 settembre 1498), facendovi scoppiare le polveri, ma il suo disperato tentaivo non ebbe alcun esito. Nel 1500 si riaccostava a Diofebo, al quale offriva i servigi del conte di Cajazzo Sanseverino, presso il quale teneva il comando dei militi del Conte di Grigny, con la promessa, da parte di Ludovico, di capitanare l'impresa di Napoli, che poi non ebbe luogo. Lionello, disgustato e stanco, decise di abbandonare l"italia e si recò a Parigi, dove venne accolto da un suo vecchio amico, Jule Paturle (1501), di cui sposò la figlia Janette.

H4. Galeotto (Soragna 1441 + ucciso, ca. 1511), Marchese di Soragna, pretendente alla successione paterna. Il 1° gennaio 1491 venne condannato dal Tribunale degli Otto Savi di Firenze a pagare 150 fiorin d'oro per aver tentato di falsificare il testamento dello zio Antonio. Spogliato nel 1497 del castello di Soragna a favore del fratello maggiore Diofebo, si unì al Sanseverino, conte di Cajazzo. Nel febbraio dell’anno 1500, radunata gente a Fontanellato in favore di Lodovico il Moro e avuti aiuti dai Sanvitale, mosse assieme al fratello Leonello contro Soragna, accusando apertamente Diofebo di essere un partigiano della Francia. Ma al momento dell’attacco i militi raccolti dal Lupis lo abbandonarono e quelli comandati da Leonello furono dispersi dalle artiglierie di Diofebo. Il Lupis morì assassinato.
= Ludovica Sanvitale, figlia di Giacomo Antonio dei Conti di Fontanellato (vedi/see)

H4. Fabrizio fu il primo rettore del beneficio di Santa Maria Annunziata (1496) e successivamente lo fu di quello di San Martino eretto nella chiesa di S. Andrea di Parma.

H5. Antonio si trasferì a Ferrara dove fu CAPOSTIPITE DEI LUPIS O LUPPIS DI FERRARA (vedi/see), nobili di Ferrara. Risulta che morì a Ferrara da un processo del 10 giugno 1556, teste Marco della Chiesa, Archivio Rocca di Soragna (A:R:S:) Armadio 1 - XXI, 1, pag. 28 

H5. Caterina

= 1477 N. H. Giovanni Meli Patrizio Veneto DA CUI I MELI LUPI DI SORAGNA, principi di Soragna e del Sacro Romano Impero

H6. Luigia o Luisa

= Emanuele Pallavicino Marchese di Scipione (vedi/see)

H7. Ginevra

= Marchese Ottaviano del Carretto Consignore di Millesimo e Cengio (+ post

7-8-1499) (vedi/see)

H8. Francesca

= 1493 il Conte Achille Martinengo

H9. Isabella o Mabilia

= 4 luglio 1487 il Conte Pietro Scotti, Patrizio di Piacenza

H10. (Naturale) Pirrino

 

G3. Antonio (+ premorto al padre), Marchese di Soragna. detto Lupati o Lovati dei marchesi di Soragna, si trasferisce a Rovigo nel 1498 e viene ascritto a quella nobiltà. CAPOSTIPITE DEI LUPATI O LOVATI DI PADOVA E ADRIA; Lo Schroder, Segretario di Governo, nel suo "Repertorio genealogico delle famiglie confermate nobili e dei titolati nobili esistenti nelle provincie venete", parlando di questa famiglia, detta anche Lupis o Lovati, la dice derivata dagli antichi marchesi di Soragna.

= ……….

 

H1. Elisabetta detta Antonia

= 1465 Manfredo Ghilini Signore di Castelciriolo (vedi/see)

 

G4. Elisabetta

= 1450 il dottor Francesco Brachi

G5. Bartolomea

= 1431 Baldasarre di Antonio Aldighieri

G6. Anna

= Bonaventura Torelli

 

D5. Montino Giovanni (Parma 1336 + 1364), iscritto al Capitolo vescovile di Padova il 12-5-1350. Fu Canonico di Padova: il 12 maggio 1350 risulta ascritto al Capitolo vescovile di quella città.
FONTI E BIBL. :P. Litta, Famiglie celebri, XI, 1870, tav. III

D6. Folco (Parma 1334 c. -24 settembre 1367), Marchese di Soragna, Consigliere dell’Imperatore Carlo IV, cittadino di Mantova, Reggio Emilia e Cremona il 22-7-1366. Il 12 aprile 1364, quale procuratore del fratello Simone, venne investito dal vescovo di Reggio di alcune terre in Albinea per l’annuo canone di due pernici. Fu consigliere di Carlo V, dal quale, assieme ai fratelli, fu esentato il 22 luglio 1366 dai pubblici balzelli e creato cittadino di Mantova, Reggio e Cremona. L’epigrafe sepolcrale lo definisce miles strenuus.
FONTI E BIBL. :P. Litta, Famiglie celebri, XI, 1870, tav. III.

 

E1. (Naturale) Princivalle (Soragna 1360 + post 1393), Assieme al fratello Francesco resse l’Ospedale di Santa Lucia in Mantova, fondato da Raimondino Lupis.
FONTI E BIBL. :P. Litta, Famiglie celebri, XI, 1870, tav. III.

E2. (Naturale) Francesco “da Melara” (Soragna 1360 + post 1425/ante 1445), Rettore dell’Ospedale di Santa Marta a Mantova, Vicario per i Gonzaga a

Figlio naturale di Folco. Detto da Melara, è ricordato una prima volta nell’anno 1423. Fu vicario per Francesco Gonzaga delle terre di Capriana, Revere e Melara. Resse inoltre l’Ospedale di Santa Lucia in Mantova, dove abitualmente risiedette. Morto Francesco Gonzaga (1407), tornò a Melara dove fu ufficiale del successore del duca, Gianfrancesco Gonzaga. In seguito, caduto in disgrazia, riparò altrove.
FONTI E BIBL. :P. Litta, Famiglie celebri, XI, 1870, tav. III.

 

C2. Bonifacio (* ante 1327 + Padova 1367 testamento 1366), Marchese di Soragna con i castelli di Parola e Redalda investito con i fratelli dall’Imperatore nel 1327 (rinnovato nel 1329), Prevosto di Santa Maria di Soragna nel 1343.

Insieme ai fratelli Montino, Guido, Antonio e Raimondino, contese nel 1327 a Manfredino Pallavicino l’investitura di Soragna e Parola, che era stata da lui richiesta a Ludovico il Bavaro dopo che il Papa l’aveva privato delle medesime terre. Grazie all’appoggio del Comune di Parma, i Lupis ebbero in effetti riconosciuto il dominio su Soragna e le corti di Redalda e Parola. Due anni dopo però, sollecitati dal Bavaro, i Lupis rinunciarono all’investitura a favore dei Pallavicino, ottenendone quale compenso l’esenzione per dieci anni dal pagamento delle pubbliche gabelle. Divenuto nel 1343 prevosto della chiesa diSanta Maria in Castellina, dal 1359 risiedette per lo più a Padova. Qui testò il 14 marzo 1367 a favore del fratello Raimondino e dei nipoti Simone e Antonio e dopo la sua morte venne sepolto nell’oratorio di San Giorgio, ove ebbe pure la sua statua funebre recante sull’acroterio le parole D. Bonifacius marchio soraneae filius. La stima che lo circondò in vita fu tale che il popolo padovano si recava al suo sepolcro come fosse stata l’urna di un santo. Tanto che i frati della Compuntiva, per fare cessare quella forma di idolatria, chiusero l’oratorio e spogliarono il monumento della statua e di ogni decorazione.
FONTI E BIBL. :P. Litta, Famiglie celebri, XI, 1870, tav. III; B. Colombi, Soragna. Feudo e comune, 1986, I, 328.

C3. Raimondo o Raimondino (Parma o Soragna ante 1330 + Padova 13-11-1379), Marchese di Soragna con Castione (investito con il cugino Ugolotto con Diploma Imperiale datato Praga 21-9-1347, rinnovato il 1-2-1364 e 6-5-1368), rinnovato della cittadinanza di Parma, Cremona, Mantova e Reggio Emilia il 1-2-1364, castellano di Butrio dal 28-9-1348, castellano di Arquato e Firenzuola il 13-7-1350, Procuratore dell’Imperatore Carlo IV il 6-9-1354.
Figlio di Rolandino di Guido e di Matilde, entrambi sepolti nell’oratorio di San Giorgio in Padova e ricordati sulle loro statue funebri con le parole: D. Rolandinus egregius miles soraniae marchio pater. D. Mathilda coniux marchionissa mater, con riferimento appunto al Lupis che fece edificare tale luogo. Il Lupis militò dapprima nella fazione di Giovanni re di Boemia e seguì poi quella di Carlo suo figlio: fu al suo fianco anche nel 1332 quando vinse i Modenesi e i loro alleati sul campo di San Felice, per la qual cosa venne dallo stesso Re fatto cavaliere. La fedeltà a Carlo IV gli procurò, a opera dei Visconti, la spogliazione dei suoi beni in Soragna, che tuttavia gli ritornarono nominalmente nel 1347 sotto forma di investitura feudale di origine imperiale. Sempre da Carlo IV il 15luglio 1350 ebbe in concessione feudale le terre di Castell’Arquato e Fiorenzuola (luoghi sottratti così alla giurisdizione di Piacenza), ricevendone più tardi (il 9 luglio 1352, dopo aver prestato il giuramento di vassallaggio) la solenne investitura: va tuttavia aggiunto che il Lupis, consapevole di aver ricevuto doni teorici e di effimero valore, mai poté godere di questi feudi ed esercitare su di essi giurisdizione alcuna. Rifiutato il giuramento di fedeltà all’arcivescovo Giovanni Visconti, il Lupis scelse la via dell’esilio e nel 1351 fu al servizio dei Fiorentini: per suo tramite la Signoria chiese aiuti a Carlo IV (che pur non riconosceva come legittimo Re dei Romani) contro Giovanni da Oleggio dei Visconti e poco dopo, investito di un’ampia procura per trattare le cose imperiali in Italia, riuscì a pacificare le parti. Capitano delle milizie di Firenze, combatté nel 1352 contro Pier Saccone dei Tarlati quando questo, occupando certe valli, tentò di tagliare la via di Montecchio: con belli artificii di guerra, come scrive l’Ammirato, riuscì a ingannare l’astuto capitano costringendolo a salvarsi in Bibiena e ad abbandonare al Lupis 200 prigionieri i quali, legati ad una lnghissima fune, furono condotti a Firenze in vendetta del danno patito a Razzuolo. Nell’ottobre dello stesso anno fu inviato a soccorso di Barga assediata da Francesco Castracani: partito da Pistoia con 600 barbute e 2000 masnadieri, si scontrò col nemico a Borgo a Mezzano in Garfagnana, mettendolo in fuga e uccidendo 53 cavalieri di parte avversa. Spogliati poi delle armi i 120 prigionieri che aveva fatto e che rilasciò liberi, riuscì a condurre a termine la missione affidatagli. Nel 1353, dopo essere stato fatto consigliere e segretario del Re di Boemia, figurò come procuratore dello stesso Carlo per contrarre alleanza in suo nome con Venezia, Padova, Verona, Mantova, Ferrara, Firenze, Siena, Pisa e le altre città che avevano tra loro formato una lega contro i Visconti. Come capitano al soldo di Ugolino Gonzaga combatté anche sui territori parmigiani e piacentini (1356), ritirandosi poi dietro il Ticino quando le forze dell’avversario risultarono preponderanti. Stando al Villani e alla Cronaca piacentina, nei pressi di Pavia il Lupis fu fatto prigioniero insieme a diversi altri comandanti dell’esercito alleato, tra cui il conte Landi e lo stesso Marcoaldo vescovo di Augusta, già vicario imperiale nella città di Pisa. Fatto di nuovo nel 1366 da Carlo IV familiare, consigliere, segretario e commensale suo e dell’Impero, con l’assegnazione di sei cavalli, con decreto del 2 maggio 1367 venne nominato Vicario imperiale e Luogotenente di Pisa e Lucca, mentre con altro di pari data lo fu per la città e Stato di Siena. Ampie sono le facoltà che gli vennero date in tali occasioni: "puniendi fures, et maleficos laqueandi, suspendendi, membris truncandi igne cremandi, in toto corpore vel in parte debilitandi", vale a dire con piena e libera potestà e con diritto di spada sui sudditi. L’anno dopo (6 marzo 1368) lo stesso Carlo IV sentenziò a suo favore contro le pretese di Ugo e Folco, fratelli d’Este, e gli confermò, unitamente a Bonifacio Lupis, le sue ragioni su Soragna e Parola. Conclusasi finalmente nel 1370 la pace tra i Visconti e la Lega, insieme agli altri Lupis fu compreso nel relativo trattato, ma ciò non lo persuase affatto a tornarsene in patria. Andò così a stabilirsi dapprima a Mantova, ove con atto dell’11maggio 1372 dotò l’ospedale di Santa Lucia e Santa Caterina tenuto dalle suore di Santa Chiara, legando a esse terre e case in territorio mantovano "ad favorem et subsidium pauperum, infirmorum, peregrinorum, senium, orphanorum et aliarum miserabilium personarum non habentium unde sustenari" e nello stesso tempo dispose un carattere di laicità dei beni conferiti (intendit et vult esse profana et talia remanere) e stabilì la specifica esclusione giurisdizionale di persone ecclesiastiche, pur ordinando la presenza di un sacerdote con età superiore ai trent’anni (di nomina dello stesso testatore o della sua famiglia) con funzioni di rettore. Passò poi a Padova: ne ottenne da Francesco Carrara la cittadinanza (16 aprile 1376) e dallo stesso acquistò beni terrieri. L’anno seguente il Lupis volle in questa città l’erezione dell’oratorio di San Giorgio adiacente la Basilica del Santo, che scelse a luogo di sepoltura per sé e per la sua famiglia e nel quale fece trasferire i resti degli stessi genitori. Così si legge infatti nell’iscrizione marmorea apposta sulla facciata dell’oratorio medesimo: Oratorium hoc sub auspiciis beati georgii ubi chondentis est sepulcrum pro ejus parentumque ac fratrum et nepotum indelenda memoria miles egregius Raimondinus de Lupis parmensis soranee marchio edificit anno domini MCCCLXXVII de mense novembris. Questa data può quindi prendersi come inizio dei lavori per l’oratorio, la cui decorazione venne dallo stesso Lupis affidata al pittore Altichiero che già aveva lavorato nella cappella di San Giacomo. Il Lupis non poté però vedere compiuta l’opera che l’avrebbe consegnato ai secoli futuri, giacché morì due anni dopo. Venne comunque qui sepolto e il suo sarcofago trovò originario posto nel mezzo dell’oratorio, sotto una gran piramide sostenuta da archi, colonne e Lupis marmorei. Il Savonarola nel 1450 non mancò di descriverlo come "marmorea arca operosa nimis, nimiumque superba, quatuor lupis marmoreis jacentibus est sustentata, lapideo arcu et circumflexo, auro ac variis coloribus ornata". Sopra la volta del mausoleo, intorno cioè alla base della piramide, si trovavano in origine dieci statue di pietra rappresentanti altrettanti membri della famiglia Lupis, e precisamente i coniugi Rolando e Matilde, genitori del Lupis, i loro figli Montino, Antonio, Bonifacio, Guido e Raimondino, nonché i loro nipoti Simone, Folco e Antonio. I guerrieri erano racchiusi in armature, mentre la dama indossava sontuose vesti: l’acroterio delle statue riportava il nome del personaggio. Il monumento funebre recava altresì il seguente elogio: Marchio soraniae miles pietatis asillum hoc Raimondinus marmore pace cubat in bellis pugil indomitus recitanda luporum fama virens armis consilioque fuit crisopolis gaude tanto celeberrima nato cuius cum superis mens sedet ante deum qui D. Raimondinus obiit MCCCLXXIXXXXnovembris. Proprio per la magnificenza della sua struttura, tale monumento divenne, col passare del tempo, oggetto d’idolatria da parte del popolo, nel quale si insinuò la convinzione di essere davanti a reliquie di grandi santi. Questo portò, verso la fine del Quattrocento, alla chiusura dell’oratorio e successivamente, a opera della Compagnia della Compuntiva, allo smembramento dello stesso mausoleo. Quando poi nel 1797 le truppe napoleoniche di stanza a Padova trasformarono l’oratorio di San Giorgio in prigione e in stalla per i loro cavalli, si ebbe la profanazione dell’urna e la pressoché totale distruzione delle statue, tanto che di esse resta soltanto un incompleto torso con effigiata l’arma dei Lupis che porge un’idea sì del vestito militare di quei tempi cavallereschi, che dello scalpello diligentissimo che lo scolpiva. L’oratorio di San Giorgio deve però la sua importanza alla stupenda decorazione pittorica che ne orna le pareti interne: lo stesso Mellini non manca, a tale proposito, di annotare che essa costituisce la sfida di Altichiero a Giotto. Gli affreschi rappresentano scene della vita di San Giorgio, di Santa Caterina, di Santa Lucia ed episodi della vita di Gesù e si deve alla sensibilità di Bonifacio Lupis se essi poterono venire realizzati: questo infatti, alla morte del Lupis, volle onorare gli impegni da lui presi con Altichiero, cosicché il 30 maggio 1384 il pittore potè attestare di essere stato intieramente soddisfatto per la dipintura dell’oratorio e dell’arca in esso costruita. Un ulteriore ricordo del Lupis nella chiesa del Santo di Padova si ha in una teca d’argento che egli donò ai frati con la reliquia di un dente di San Giorgio. L’opera, caratterizzata da uno stelo avente il nodo formato da sei piccole nicchie con altrettante statuine e da un tubo di cristallo sormontato da un catino con l’immagine del Santo nell’atto di atterrare il drago, si conserva nel tesoro della Basilica di Padova.
FONTI E BIBL. : S. Ammirato, Historie fiorentine, Firenze, 1647; B. Corio, Mediolanensis patriae historia, Milano, 1503; G. de Mussi, Chronicon placentinum, in Rerum Italicarum Scriptores, XVI; P. Litta, Famiglie celebri italiane, Milano, 1834; A. Pezzana, Storia di Parma, in continuazione a quella dell’Affò, Parma, 1837; C. Argegni, Condottieri, 1937, 110; V. Spreti, Enciclopedia storico nobiliare, 4, 1931, 541; B. Colombi, Soragna. Feudo e Comune, 1986, I, 311-315.
C4. Antonio (+ 1338), È ricordato per la proma volta in un documento dell’anno 1319. Fu preposto di Soragna.
FONTI E BIBL. :P. Litta, Famiglie celebri, XI, 1870, tav. III.

C5. Costanzo, Marchese di Soragna.

C6. Montino, Marchese di Soragna.

 

D1. (Naturale) Corrado

= ……….

 

E1. Marsilio, citato nel testamento del cugino Simone.

= ………. .

 

F1. Orlandino

 

E2. Altri fratelli o sorelle dal nome ignoto.

 

C7. (Naturale) Montino (+ post 1408)

= una figlia del Marchese Manfredino Pallavicino e di Margherita di Canossa (vedi/see)

 

D1. Giovanni (+ post 1380).

D2. Rolandino (+ post 1383).

D3. Antonio (+ post 1379).

 

B3. Ubertino o Uberto (Parma ante 1266 + post 1304), Marchese di Soragna, Podestà di Pontremoli nel 1285, Podestà di Piacenza

Detto anche Ubertino. Fu Podestà di Pontremoli nel 1285 e di Piacenza nel primo semestre del 1287. Il 30 giugno di quell’anno, ricoprendo egli ancora la sua carica, le città diPiacenza, Parma, Reggio, Bologna, Cremona e Brescia stipularono un patto di amicizia. Viveva ancora nel 1304: si trova infatti nominato assieme a Ugo e Sopramonte Lupis in un atto notarile di quell’anno.
FONTI E BIBL. : P. Litta, Famiglie celebri, XI, 1870, tav. I; Giuliani, Podesteria di Uberto Lupi, in Archivio Storico per le Province Parmensi 1960, 33-42.

= ……….

 

C1. Guido, Marchese di Soragna.

= ………. .

 

D1. Cavalcano (+ ante 1356), Marchese di Soragna.

a) = Richelinda

b) = 1351 Adelaide, figlia di Manuele Capelluti

 

E1. (ex 1°) Enrico, Marchese di Soragna.

E2. (ex 1°) Francesco, Marchese di Soragna.

E3. (ex 1°) Giorgio, Marchese di Soragna.

E4. (ex 1°) Giovanni, Marchese di Soragna.

 

 

A2. Eberto (detto anche Roberto, Uberto o Ubertino) Marchese di Soragna, si trasferisce in Puglia a Giovinazzo (BA), a causa della sua nomina a Giudice Imperiale, dove divenne

 CAPOSTIPITE DEI LUPIS di PUGLIA (Giovinazzo) , poi di SICILIA (Ragusa) e di CALABRIA (Grotteria). (vedi/see) I suoi discendenti abbandonarono il predicato di Soragna (che continuò nel ramo del fratello Guido II di Soragna), per conservare comunque il titolo di Marchese, cui hanno diritto tutti i rappresentanti maschi delle tre linee indicate (pugliese, sicula e calabrese), in quanto esse linee si divisero dal tronco comune prima del 13-6-1495, quando Bonifacio de' Lupis (+ 24-1/4-2-1497), Marchese di Soragna, istituì la primogenitura a favore del figlio Diofebo, limitando così la successione dei titoli ai soli maschi primogeniti.

 

 

A3. Ugo (Parma o Soragna ante 1227 + post 16-6-1247/ante 1253), Marchese di Soragna, Podestà di Cremona nel 1229, Podestà di Pisa nel 1232 e 1233, Podestà di Ravenna nel 1235. Figlio primogenito del marchese Guido e di una sorella di Bernardo Rossi. Fu Podestà di Cremona nel 1229, quando questa, con Parma e Modena, era fedele a Federico II. Come tale, sostenendo guerre continue con le città vicine che aderivano alla Lega Lombarda, si distinse particolarmente combattendo contro Bolognesi e Romagnoli che assediavano il castello di San Cesario nelModenese e li mise in fuga. Esule da Parma dopo che l’Imperatore aveva stretto notevolmente i freni di un dominio fino ad allora soltanto nominale, il Lupis venne fatto dapprima Podestà di Siena (1231) e l’anno seguente Podestà di Pisa. In quest’ultima carica, a istanza di papa Gregorio IX, costrinse con le armi i Lucchesi a togliere l’assedio a Barga (10 aprile 1232), per il quale merito ebbe il raro privilegio della riconferma nella stessa podesteria. Dopo essere stato subito dopo Podestà di Ravenna (1234), lo si ritrova nel 1237 a Soragna per dividere con i fratelli il castello e i beni paterni. Nel 1245 fu tra i promotori di una congiura contro Federico II e quando nel monastero di Fontevivo furono scoperti i documenti provanti il tentativo dei cospiratori di porre Tebaldo Franceschi sul trono di Sicilia, il Lupis, per ordine di re Enzo figlio dell’Imperatore, dovette lasciare Parma insieme ai Rossi, ai Correggesi e agli altri nobili di parte guelfa. Il Lupis sposò Alessandra (di cui non è noto il casato) ed ebbe come figli Lupo e Seth (quest’ultimo nel 1258 successe al fratello nella podestaria di Jesi e Senigallia). Altri due suoi figli, Buttapane e Uberto, furono naturali.
FONTI E BIBL. : P. Litta, Famiglie celebri, XI, 1870, tav. I; V. Spreti, Enciclopedia storico nobiliare, 4, 1931, 541; B. Colombi, Soragna. Feudo e Comune, 1986, I, 306-307.

= Alessandra

 

B1. Lupo (Parma o Soragna 1227/1257 + testamento : 1-3-1261), Marchese di Soragna. È citato una prima volta in un atto di acquisto del 1227. Nel 1257 fu Podestà di Jesi e Senigallia.
FONTI E BIBL. :B. Colombi, Soragna. Feudo e Comune, 1986, I, 307.

= Mabilia Pietra (+ post 1263).

 

C1. Mabilia

= Guglielmo Rangoni Signore di Marsaglia (vedi/see)

 

B2. Seto o Seth o Leto(+ ante 1262), Marchese di Soragna, Podestà di Jesi nel 1258. Lupis SETH
È citato una prima volta in un atto di acquisto del 1227. Nel 1258 fu Podestà di Jesi e Senigallia succedendo al fratello Lupo.
FONTI E BIBL. : P. Litta, Famiglie celebri, XI, 1870, tav. I.

= ……….

 

C1. Gottifredo (+ ante 1322), Marchese di Soragna.

= ……….

 

D1. Albertaccio (* Soragna 1319 + 1349), Marchese di Soragna.
Nel 1318, essendosi rifiutato di sottomettersi a una condanna emanata contro di lui da Simone Crivelli, podestà di Parma, fu fatto prigioniero (dopo che il castello di Soragna, nel quale si era rifugiato, era stato incendiato) e condotto a Parma. Solo a stento riuscì a salvarsi dalla pena di morte che era stata bandita contro di lui.
FONTI E BIBL. :P. Litta, Famiglie celebri, XI, 1870, tav. I.

= Mabilia di Cornazzano (+ testamento: 2-9-1349).

 

E1. Filippo (+ post 2-9-1349), Marchese di Soragna.

E2. Gabriele (+ post 2-9-1349), Marchese di Soragna.

 

C2. Gherardo, Marchese di Soragna, fu podestà dei calzolai di Parma nell’anno 1313.
FONTI E BIBL. :Litta, Famiglie celebri, XI, 1870, tav. I.

= ………

 

D1. Guido (+ post 1351), Marchese di Soragna.

= ……….

 

E1. Giovanni (+ post 1352), Marchese di Soragna.

 

D2. Monte (+ ante 1344), Marchese di Soragna.

= ……. .

 

E1. Rolandino, Marchese di Soragna.

= ………

 

F1. Giovanni, Marchese di Soragna, cittadino di Parma dal 3-5-1400.

 

E2. Maria

= 1334 Bozano dei Niviani

 

D3. Guglielmo (+ post 1344), Marchese di Soragna.

D4. Bonifacio (+ post 23-6-1319), Marchese di Soragna.

D5. Lupo (+ ante 1344), Marchese di Soragna. Scacciato da Parma, nel 1307, sostenuto dai cremonesi e dai fuoriusciti di Piacenza, occupò Roncarolo, il monastero della Colomba, Castell’Arquato e Fiorenzuola a danno dei Piacentini.
FONTI E BIBL. :P. Litta, Famiglie celebri, XI, 1870, tav. I.

= ………

 

E1. Niccolò, Marchese di Soragna.

 

C3. Giacopera/Giacopina (+ post 1-3-1261).

= post 1-3-1261 Orlando Rossi (vedi/see)

 

B3. (Naturale) Buttapane (+ post 1263).

B4. (Naturale) Eberto (Roberto, Uberto, Oberto anche Ubertino)

 

A4. Monte detto “Sopramonte” (* Parma o Soragna ante 1198 + cade a Grola di Parma 1250), Marchese di Soragna, Vicario del Podestà di Pavia nel 1246,

Podestà di Milano nel 1249.
Talune volte è citato anche come Monte. Figlio del marchese Guido e di una sorella di Bernardo Rossi, viene per la prima volta menzionato nella permuta che il padre fece nel 1198 col vescovo Obizzo Fieschi: Praeterea sup. tus D. nus Guido iuravit quod faciet uxorem suam et D. nus Supramontem marchionem et filium eius dare parabolam ad hoc totum ut ratio exigit, et omnes alios si qui sunt necessarij quos D. nus Ep. us requieveret. Presente in Soragna con i fratelli alla divisione dei beni paterni, fu Podestà di Mantova negli anni 1243 e 1244 e durante tale mandato combattè e sconfisse le truppe veronesi. Tornato a Parma, dovette abbandonarla nel 1245, insieme agli amici della fazione guelfa, quando venne scoperta la congiura ai danni dell’imperatore Federico. Si rifugiò allora a Piacenza ed ebbe attestati di grande considerazione. L’anno successivo lo si ritrova come Vicario del podestà diPavia Bonaccorso da Palude. Nuovamente in patria nel 1247, prese parte attiva alla rivolta guelfa contro Federico II, sostenendo pure l’assedio che si concluse con la distruzione di Vittoria e lo spoglio della tenda imperiale (18 febbraio 1248). In tale occasione il Lupis dovette certamente distinguersi, perché l’anno dopo venne eletto Podestà di Milano e gli storici del tempo annotano che in giorno di Domenica alli 2 di Maggio, convocati 500 principali i quali si chiamavano i generali del Concilio, fece alcuni statuti di grandissima importanza, li pubblicò e sotto il suo governo li fece sempre osservare. Il Corio precisa che il Lupis si pronunciò sopra il consiglio avuto da Pietro dei Farisei giusperito e sopra gli Statuti fatti per gli Anciani dei paratici l’anno prossimo passato per il pagamento da esser fatto dell’ottava parte del debito del Comune. Quando però nel 1250 Uberto Pallavicino, Signore di Cremona e capo della parte ghibellina, volle prendersi la rivincita sui Parmigiani, il Lupis fu attivissimo nel combattere contro di lui e le sue truppe. Frà Salimbene lo definisce "magnus bellator et fortis armatus, nonché doctus a bellum et fortis et saevus ut leo". Dopo aver fatto mordere la polvere a parecchi avversari (multos prostravit), egli stesso cadde ucciso durante la battaglia di Grola. In quella occasione Uberto Pallavicino, per vendicare le armi imperiali, mosse assieme ai ghibellini di Parma e di Cremona contro i guelfi parmigiani. Il Lupis uscì allora dalle mura della città e li assalì. Valorosissimo qual era, affrontò e uccise molti avversari ma alla fine, sopraffatto dal nemico incalzante, rimase ucciso sul campo di battaglia. Il Lupis ebbe due figli, Paganino e Ugolino (quest’ultimo condusse a termine, nel 1256, la Podesteria di Mantova, già dello zio Rolando).
FONTI E BIBL. : P. Litta, Famiglie celebri, XI, 1870, tav. I; B. Colombi, Soragna. Feudo e Comune, 1986, I, 307-308.
= ……….

 

B1. Paganino, Marchese di Soragna.

B2. Ugolino o Ugone (Soragna abte 1256 + post 1304), Marchese di Soragna. Lupis UGOLINO
Condusse a termine, nel 1256, la Podesteria di Mantova, già dello zio Rolando Lupis.
FONTI E BIBL. : B. Colombi, Soragna. Feudo e Comune, 1986, I, 308.

= ……….

 

C1. Lupo, Marchese di Soragna.

C2. Gugliemuccio (+ post 1319), Marchese di Soragna.

C3. Ubertino (+ post 1341), Marchese di Soragna.

= Caterina Franceschi della Foresta

 

D1. Filippina (+ 1405)

= 1341 Marchese Bonifacio di Ugolotto de Lupis (vedi sopra)

 

C4. Manfredino, Marchese di Soragna.

 

A5. Rolando od Orlando, (* Parma o Soragna ante 1234 + Mantova 1256) Marchese di Soragna, ambasciatore della città di Parma a Brescia nel 1252, Podestà di Pistoia nel 1234,

Podestà di Novara nel 1249, Podestà di Mantova nel 1253.

Detto anche Orlando. Figlio di Guido e di una sorella di Bernardo Rossi, fu nel 1234 Podestà di Pistoia, rieletto poi a tale carica dopo Malatesta da Rimini, suo successore. Durante il suo mandato non mancò di applicare zelo, sollecitudine e prudenza nel dirimere le controversie che travagliavano in quel tempo la città finché, non piegandosi a compromessi di comodo, venne destituito. Nel 1236, però, fu di nuovo chiamato a reggere la massima autorità municipale, anche se non gli fu dato di chetare le discordie interne. Nel 1238, secondo le memorie di Matteo Sala, fu Podestà di Siena, mentre nel 1249 lo fu di Novara, segno questo di particolare considerazione per avere il Lupis preso parte alla difesa di Parma contro Federico II. Nel 1252, insieme al giureconsulto Bernardino di Ruffino, fu ambasciatore di Parma al Congresso convocato a Brescia dal Cardinale Ubaldini per rinnovare, dopo l’avvenuta morte dell’Imperatore, l’antica Lega guelfa tra Lombardi, Trevigiani e Romagnoli. Podestà di Mantova nel 1253, prestò giuramento di aleanza con i Veneziani, dopo la presa di Padova, alle truppe di Ezzelino da Romano. Rieletto nella carica nel 1256, morì di lì a poco e a concludere la sua podesteria venne chiamato il nipote Ugolino, figlio del fratello Sopramonte.
FONTI E BIBL. : P. Litta, Famiglie celebri, XI, 1870, tav. I; V. Spreti, Enciclopedia storico nobiliare, 4, 1931, 541; B. Colombi, Soragna. Feudo e Comune, 1986, I, 308-309.

A6. Goffredo (+ post 1261), Cavaliere dell’Ordine dei Templari. Goffredo, chiamato anche Gotifredo o Gotefredo, fu tra i primi ad entrare nell'Ordine dei Templari quando questi si stabilirono a Parma. Risulta ancora vivente nel 1255 a Napoli. Da Fra Salimbene (nella sua Chronica, in Monumenta historica etc. 185, pag. 161) è detto:" . . . magnus et potens in Ordine Templarorum, et multum reputatus, eo quod marchio esset". cfr. Bruno Colombi, Soragna Feudo e Comune, Parma, 1986, pag. 306; nel 1244 "Frà Goffredo Lupi" risulta Gran Maestro dell'ordine perl'Italia: "In questo mentre sovragiunto il nuovo anno (1244) (...) in Piacenza i Cavaglieri Templari delle Cafe d'Italia congregatisi à Capitolo nella manfione di S Maria del Tempio l'ultimo di Febraio hebbero per servjgjo déll'Ordine a trattarvi lungamente alla Ргеsепzа del Precettore e General Gran Maestro di tutte le sudette cafe Gotifredo Lupi." cfr: Pietro Maria Campi, "Dell' historia ecclesiastica etc.", Piacenza 1651, pag. 178.

A. 7. Pietro de Lupis console di Acqui nel 1205+ aft 1205). CAPOSTIPITE DEI Lupis DI MOIRANO

= [--?--]

 

 

 

 

*********

Posizione incerta: Giovanna figlia di Guido (+ post 20-7-1316), sposa Ugolino Pallavicino dei Marchesi di Pellegrino (vedi/see)

 

 

 

 

NOTA IMPORTANTE: 

La genealogia qui presentata è da ritenersi ufficiale della Casa, poiché esemplata direttamente dall'archivio Meli Lupis di Soragna, curato dal dott. Bruno Colombi, che in questa sede si coglie l'occasione per ringraziare pubblicamente per la sua attività e disponibilità. Il dott. Colombi, oltre che avere ricoperto per lunghi anni l'incarico di archivista della Rocca di Soragna, è anche autore di numerose, fondamentali pubblicazioni sulla famiglia e sul feudo di Soragna (vedi ipiù sotto). Tutti i materiali e le informazioni di seguito presentate sono state messe a suo tempo a nostra disposizione (fin dal lontano 1991, vedi: Comunicazione del dott. Bruno Colombi, in data 18 ottobre 1991, sulla genealogia dei Lupis di Malta, in Archivio Marchesi Lupis Macedonio Grotteria) grazie alla cortese disponibilità dell'attuale principe di Soragna, S. A. S. il Marchese N. H. Don Diofebo, 10° Principe di Soragna, Principe del S. R. I. , Patrizio Veneto e Nobile di Bologna; Cavaliere d’Onore e Devozione del Sovrano Militare Ordine di Malta, Commendatore di juspatronato del Sovrano Militare Ordine di Malta e Cavaliere di Giustizia dell’Ordine Costantiniano di San Giorgio

.

I dati contenuti emendano i molti errori di trascrizione e di ricerca presenti nelle opere che si sono occupate dell'argomento (tra cui le celebri tavole del Litta), sicché ogni manipolazione, interpolazione o difformità dagli stessi varrà a costituire una genealogia inattendibile e non ufficiale della Casata.

 

FONTI: ARS- Archivio dei Principi Lupis di Soragna, Rocca di Soragna (PR)

 Un diploma d'investitura dell'Imperatore del Sacro Romano Impero alla casata Lupis (traduzione dal latino)

 

 P. Litta, Famiglie celebri, XI, 1870

 B. Colombi, Soragna, feudo e comune, Parma, 1986, Voll. I e II

 B. Colombi, Soragna: Cristiani ed ebrei. Otto secoli di storia, Parma, 1975

 G. Godi, Nicolò dell'Abate e la presunta attività del Parmigianino a Soragna, Parma, 1976

 E. Quaranta, La Rocca di Soragna. itinerario e cenni storici, Parma, 1982

 P. Tonnini e F. Tanzi, Soragna dalle origini, Parma, 1998

I. Calandrini, Il publio Svezzese, ovvero, Historia Dell’Antichissima e Nobilissima Famiglia degli Illustrissimi Signori de’ Lupis Marchesi di Soragna e vita Del Glorioso S. Lupo Vescovo e confessore, Parma, 1653

Grotto dell'Ero L. I. , Memorie intorno la famiglia de' Marchesi di Soragna, estratte dall'opera: "Cenni Storici sulle famiglie di Padova, e sui Monumenti delle Università", Padova, s. d. , pag. 149

Pigorini L. Moneta, medaglie e sigilli dei Marchesi e principi di Soragna, Parma, Rossi Ubaldi 1867, pag. 13

 

 

 

 

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